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Nov
Oggigiorno il successo di un Paese si raggiunge in modo alquanto differente da com’era sempre avvenuto in passato fino alla metà del XX secolo, quando le intimidazioni militari e le guerre vere e proprie erano le prime mosse di una politica diplomatica estera volta a far valere i propri interessi a discapito di quelli altrui.
In un’epoca nella quale il ricordo delle due guerre mondiali (per citare solo esempi recenti) è sufficiente a conferire ai combattimenti armati una dimensione ed una connotazione tragica e di condivisa riluttanza, il metodo che i Paesi politicamente più avanzati utilizzano per imporre sugli altri il proprio dominio è più indiretto e si serve dell’economia, nello specifico, come testimonia Giuseppe Gagliano, attraverso «trappole tese all’avversario per farlo fallire nelle sue strategie di sviluppo, tagliarlo fuori da un mercato, indebolirlo a livello finanziario o commerciale, minacciare la sua immagine».
Un contesto del genere, come può sembrare ovvio, richiede capacità analitiche ed intellettive molto sviluppate; non bastano più, infatti, la semplice forza di un esercito e la relativa tecnica militare, passate, ormai, da prima soluzione per risolvere una disputa, all’essere l’estrema ratio di chi vuole imporre la propria egemonia.
Una guerra economica, infatti, così definita la competizione basata sull’economia, se ben condotta può portare a successi molto più stabili rispetto all’alternativo utilizzo della potenza militare, permettendo così di risparmiare enormi risorse, altrimenti impiegate per l’utilizzo di mezzi bellici, oltre che preziosissime vite umane; è seguendo questa visione che, nel secondo ‘900, la guerra fredda tra Stati Uniti ed Unione Sovietica rimase tale ed è per la stessa ragione che Cina e Stati Uniti, oggi, non hanno ancora dispiegato i loro armamenti, nonostante il loro rapporto non possa di certo essere definito tra i più idilliaci: quello tra U.S.A. e Cina, infatti, è il classico caso di guerra commerciale.
L’ingresso della Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade Organization – WTO), fortemente sponsorizzata proprio dalla presidenza statunitense dell’epoca e decisione rivelatasi, poi, un’arma a doppio taglio per la compagine americana in quanto non vi fu, da parte dello Stato asiatico, un completo adattamento a quelle che sono le normative da rispettare per farne parte; condizione di disparità di cui la Cina ha goduto e sta continuando a godere e che, dal suo ingresso nel dicembre 2001, non a caso le sono valsi ben quarantaquatto contenziosi da parte degli altri membri dello stesso organismo, ventitré dei quali solo dagli USA, a riprova della competizione che tra le due potenze si disputa sul campo economico-commerciale.
Il contesto economico mondiale a seguito dell’ingresso della Cina nel WTO ha subito delle conseguenze che riguardano estremamente da vicino l’Italia: il progetto della Nuova Via della Seta, questa immensa iniziativa che il presidente Xi Jinping ha citato pubblicamente per la prima volta nel novembre 2013 durante una visita in Indonesia e da egli stesso definita, a prova di equivoci, il progetto del secolo.
La Nuova Via della Seta può contribuire a rafforzare maggiormente la strategicità del nostro Paese grazie alla crescente centralità che sta assumendo Trieste, designata dal governo della Repubblica Popolare ad accogliere le navi provenienti dall’estremo oriente per poi distribuirne le merci nel resto del vecchio continente tramite il potenziamento di un innovativo e super sviluppato sistema ferroviario intermodale ancora in fase di definizione.
Seppur la BRI contenga in sé dei rischi sia politici e diplomatici oltre che economici, la faraonica iniziativa della Cina può costituire per l’Italia una vera e propria opportunità da sfruttare se saremo in grado di giocare bene le carte che abbiamo; bisogna, infatti, avere la capacità di trascendere dal piano meramente economico e di formulare una coerente e solida politica che coinvolga interessi non solo commerciali ma anche diplomatici e strategici.
Nella scelta delle mosse da intraprendere bisogna considerare i nostri punti di forza, i nostri punti di debolezza e potenziare i primi e sfruttare strategicamente i secondi: l’alleanza con gli Stati Uniti d’America è senz’altro il migliore assunto da cui partire per formulare una modalità d’azione da vero e proprio Sistema-Paese.
L’Italia deve essere in grado di avvalersi della propria collocazione geografica di riconosciuto privilegio per giocare su più fronti. L’appartenenza al continente che coinvolge il 75% degli scambi commerciali, i quasi 7.500 chilometri di coste, la prossimità ad un’area interessante come quella balcanica, il dispiegarsi del territorio nazionale nel bel mezzo del Mediterraneo con tutti i benefici che esso comporta in termini energetici e commerciali e l’essere la miglior porta d’accesso alle portacontainer provenienti dal canale di Suez fanno dell’Italia un soggetto dall’elevato peso lobbistico.
È arrivata l’ora che questo peso si trasformi in tangibile capacità di poter utilizzare tali aspetti chiave della particolarità italiana, battere i pugni sul tavolo e far valere la propria identità ed il proprio valore, troppo spesso trascurati o, peggio, riconosciuti dagli altri e sfruttati a loro piacimento.
Ora siamo nel vivo, siamo ufficialmente coinvolti nel giro di interessi delle maggiori potenze del pianeta per cui con una corretta strategia potremmo giocare da protagonisti, far valere la storia (soprattutto quella della seconda metà dello scorso secolo), esser coinvolti nei piani dei primattori mondiali, tessere rapporti con tutti loro senza scontentar nessuno ma, allo stesso tempo, avendo chiari avanti a noi i nostri interessi, chi siamo e chi vogliamo diventare.
L’Italia c’è e agendo da Sistema-Paese riusciremo a farci largo negli ambienti internazionali prendendoci ciò che per tanti anni non abbiamo mai avuto modo di disporre, ma che abbiamo tutte le carte in regola di possedere. Magari contando sul sostegno di altri, di chi anche per ragioni dettate dalla convenienza politica può portarci alla vittoria, vedi gli Stati Uniti, con i quali possiamo rifondare il nostro legame basandolo su concretezze molto più solide e ricorrendo alla loro capacità di dominio per avanzare nel panorama mondiale, per assumere un ruolo chiave universalmente percepito e per portarci ad esser riconosciuti come potenza di gran valore non solo agli occhi degli altri Stati, ma anche di tutti i nostri stessi concittadini. «Per una nuova pedagogia nazionale».
Estratto dalla tesi del Master in “Intelligence Economica” ed. 2019-2020
Candidato Valerio Borrelli
Tutor Laris Gaiser
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