27
Apr
Coloro che scrissero la Costituzione italiana nel ’48 avevano in mente una idea “alta” del popolo. Un’idea condivisa da tutti, in quanto coloro che scrissero la Costituzione non erano un partito ma l’intellighenzia italiana nel suo insieme, una classe dirigente emersa dai postumi del fascismo, che aveva un senso comune alto del popolo. Ciò che si respira leggendo i Quaderni del carcere di Gramsci, nella parte specifica che riguarda gli intellettuali e l’organizzazione della cultura, è proprio questa idea alta di popolo, non in un senso trionfalistico e demagogico: la sovranità appartiene al popolo che la esercita nell’ambito della legge, cioè nelle forme e nei limiti della Costituzione. La saggezza racchiusa nella seconda parte della frase rimanda non a un popolo qualsiasi, che prende e usa la sovranità, come gli pare, ma che la esercita nei limiti che esso stesso si è dato, nei limiti che il popolo stesso individua per definirsi sovrano.
La seconda parte dell’articolo 3, spesso sottostimata o dimenticata, è anch’essa centrale per far capire l’idea dei nostri padri costituenti: “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che impediscono di fatto il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”. Il costituente, mentre definiva la sua idea di popolo definiva anche i limiti affinché il popolo potesse essere tale e, di conseguenza, potesse essere sovrano, dicendo nel contempo che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli per il suo avverarsi.
È un punto chiave che non solo definiva il carattere della società democratica che si stava istituendo, ma sottolineava che la società stessa non esisteva ancora, se non in parte, e che era ancora da costruire. La sovranità non era quindi automatica e data una volta per tutte ma in fieri, in sviluppo, da creare, da difendere. Era il prodotto dell’attività stessa del popolo. Terracini, presidente dell’Assemblea Costituente, la definì una «attività trasformatrice»: il popolo si definisce sovrano mentre dice che non lo è ancora del tutto, che lo deve diventare.
Mi chiedo dunque, alla luce di questa premessa: ma il popolo di oggi è lo stesso popolo di allora? Io penso che non lo sia. I processi degenerativi, innescati in questi ultimi cinquant’anni e tuttora in corso, hanno modificato radicalmente il popolo italiano. Siamo di fronte a un popolo ignaro e un popolo ignaro non può essere sovrano di nulla, nemmeno di se stesso. Chi è che ha prodotto tutto questo e perché? Era inesorabile? È frutto di un disegno?
La gente non sa cosa significhi attività critica, compresa la maggior parte dei colleghi giornalisti. Non si è più abituati a ragionare. Pertanto di fronte a una domanda si stupiscono, se questa non è considerata lecita, e la rifiutano prima ancora di cominciare a discutere. Questo è un segno della degenerazione intellettuale media che riguarda anche coloro — i giornalisti, ad esempio, ma non solo loro — che dovrebbe invece rappresentare l’élite intellettuale italiana. Coloro che gestiscono i “media” dovrebbero essere i nuovi maestri della società, ma se loro stessi sono ignoranti, come possono insegnare al resto del paese? Non è casuale tutto ciò che sta accadendo. E sono al servizio, in gran parte dei “padroni universali”. La categoria dei padroni universali è una categoria concreta: esistono, sono un gruppo di persone straordinariamente potenti, più potenti di ogni altra classe dominante mai stata prodotta dal genere umano, mille volte più potenti dei faraoni. Sono loro che determinano l’andamento degli Stati.
Gli Stati come istituzioni sono un’altra categoria che andrebbe sottoposta a una revisione concettuale radicale. Si continua a ragionare in termini di Stati Uniti, Germania, Francia etc., come fossero i protagonisti, quando invece, a loro volta, sono dominati da entità molto più potenti. Coloro che passano sulla scena dei media non sono altro che maggiordomi ed esecutori di decisioni prese altrove, nei luoghi dove c’è il vero potere. Intorno agli anni ’70 questo gruppo di persone ha iniziato a capire il cambiamento in atto: esaminando gli eventi si vede chiaramente come il punto di svolta sia accaduto in quel decennio storico, che ha visto Nixon stabilire la fine formale della convertibilità del dollaro con l’oro, imponendolo come moneta universale; quel decennio che ha assistito al lancio della Trilaterale, in cui i potenti proclamarono al mondo, scritto nero su bianco, che era giunto il momento di limitare il tasso di democrazia delle democrazie occidentali (frase quasi passata inosservata ma che implicava un cambio delle costituzioni democratiche moderne): una vera e propria azione sovversiva, che prese avvio sotto agli occhi di tutti e che, in una miriade di atti, formalmente legali, che realizzarono la demolizione progressiva della democrazia liberale.
I veri legislatori sono così divenuti i banchieri, in senso letterale e non lato: i banchieri hanno scritto le nuove leggi europee, stabilendo un nuovo ordine di pensiero in linea con la loro mondializzazione. In questo modo il popolo è stato privato della propria sovranità e la sovranità è stata trasferita altrove, con le nuove leggi dettate al mercato dalla finanza e dalla tecno-burocrazia, prodotta dalla stessa finanza.
In questo contesto, i paesi «minori» (tra cui l’Italia, paese fondatore dell’Unione Europea) sono stati trasformati in colonie, nemmeno in vicereami. Noi non prendiamo più alcuna decisione, il pareggio in bilancio non lo abbiamo scelto ma ci è stato imposto addirittura come norma costituzionale. Tutte le più importanti decisioni prese in Italia in questo momento sono prese da un parlamento illegittimo, che non rappresenta il popolo italiano (lo stesso processo elettorale è stato definito incostituzionale), su indicazione dei maggiordomi della finanza internazionale, i quali hanno stabilito i criteri da sottoporre a parlamenti, che li approveranno in quanto composti da esponenti politici in sostanza scelti da questa stessa élite. Pertanto, noi siamo già stati privati della nostra democrazia senza essercene resi conto. Siamo esecutori delle decisioni e delle regole della finanza internazionale, che è l’ultima istanza, quella decisiva, attraverso la quale viene esercitato il potere. La finanza è la conseguenza del potere, non la causa. Si sente spesso parlare di sovranità monetaria, ma come può essere possibile che una colonia goda della sovranità monetaria? La disputa pseudo-sovranista attorno all’uscita dall’euro è del tutto priva di contenuti poiché antepone la questione monetaria al vero problema che è quello dei rapporti di forza politici.
Per quanto riguarda la mondializzazione, ormai il pianeta è diventato uno tutto interconnesso. Il lungimirante Freeman Dyson in Turbare l’universo, scritto alla fine degli anni ’70, dice: «tra non molto il pianeta sarà diventato uno e tutti i problemi saranno solo planetari». Il che significa che ciascuno dovrà misurare se stesso, il proprio valore, anche quello economico, anche quello sociale, o tecnologico, in questo nuovo contesto globale. Gli italiani, e con essi gli europei, dovrebbero rendersi conto che l’Europa non è più da tempo al centro del mondo. Il rapporto è di 1 a 7, ci sono altri sei miliardi di persone che stanno premendo alle nostre frontiere e in tanti le hanno già scavalcate e travolte. Ma non tutti capiscono che il flusso migratorio odierno è solamente l’antipasto di ciò che ci aspetta, ed è ridicolo pensare di fermarlo alzando barriere alle frontiere. Esso è effetto finale di una serie di processi molteplici e interconnessi, che sono in sviluppo e si protrarranno nel tempo. Tuttavia la maggior parte di noi, non rendendosene conto, non vede questa complessità e ciò che vede lo colloca nella visione antica secondo cui noi siamo ancora il centro del mondo (noi nel senso di occidente. Noi europei ci troviamo a un impressionate livello di arretratezza intellettuale.
Viviamo una situazione transitoria, nella quale i padroni universali vorrebbero una omogeneizzazione dei popoli, la loro formattazione unica, che ne consenta un totale controllo. Ma i popoli continuano ad esistere come tali, e come tali rappresentano una presenza disturbante per i globalizzatori. Cito una frase di Machiavelli, che secoli fa scriveva a Francesco Guicciardini: «Voi sapete et sallo ciascuno che sa ragionare di questo mondo, come i popoli sono varii et sciocchi; nondimeno, così fatti come sono, dicono molte volte che si fa quello che si doverrebbe fare». Ci troviamo appunto in questa fase, in cui i popoli sono come i cani che guaiscono in attesa del terremoto. Intuiscono il pericolo ma non sanno dove, quando e perché arriverà. I padroni universali capiscono l’inquietudine, la vedono (l’elezione di Donald Trump è un guaito dell’America, il Brexit è un guaito dell’Europa, il no al referendum italiano di dicembre 2016 è un guaito dell’Italia).
Contro la narrazione offerta da tutti i media, che costituisce la spinta del sistema dominante dell’informazione, i popoli reagiscono respingendola. Non è la reazione unanime e non potrebbe esserlo perché il sistema riesce ancora a condizionare larghissime quote di pubblico. Ma il “lamento” dei popoli sta diventando molto forte. Non è ancora una coscienza collettiva; non è una spiegazione chiara. Ma il lamento che si sente e si vede. E i padroni del mondo l’hanno capito. Ne sono inquieti. Occorre che non si diffonda. Occorre fermarlo. Questa è la causa del loro cambio di strategia. Il loro obiettivo a questo punto è di demolire il tenore intellettuale dei popoli, di abbassare la loro capacità morale e di ridurre la capacità di reazione. Sta accadendo ciò che Edward Bernays, il nipote di Sigmund Freud, scrisse nel 1929 (libro fondamentale, si noti, ma pubblicato in Italia nel 2008) in Propaganda, quando ancora le tecnologie erano al loro inizio: «La manipolazione consapevole e intelligente, delle opinioni e delle abitudini delle masse svolge un ruolo importante in una società democratica. Coloro i quali padroneggiano questo dispositivo sociale dispongono di un potere invisibile che è lo strumento per dirigere davvero un paese». Da questa nuovissima circostanza è nato il dominio che caratterizza le società moderne. Esso permea ormai tutti i rapporti sociali. Anche il discorso sulla sovranità non può essere affrontato senza partire da questo contesto. È in corso un processo organizzato di de-civilizzazione alla dell’intero mondo occidentale: ci stanno riducendo in schiavi dal punto di vista economico e in stupidi da un punto di vista intellettuale.
Consiglio la lettura di alcuni autori e libri su questo tema: Giovanni Sartori, Homo videns; Pier Paolo Pasolini; Gregory Bateson; Karl Popper; Neil Postman; Guy Debord; Noam Chomsky. Autori che ci hanno spiegato, ciascuno a partire dalla propria competenza, cosa stava accadendo, parlandoci della vulnerabilità dell’uomo e di quanto sia facile modificarlo; dell’esistenza di veri e propri tasti del suo cervello, del suo essere, che, quando individuati, possono determinare e modificare i suoi comportamenti. E possono farlo indipendentemente dalla sua volontà, al di fuori della sua consapevolezza. Gli uomini sono come un gregge di pecore, che può essere guidato. E questi processi sono in corso, ad alta intensità e in forma accelerata, in un settimo della popolazione mondiale, ossia nel mondo occidentale. In realtà ciò sta già debordando verso altre società, ma in forme più lente e limitate. Da noi la manipolazione di massa è già realtà. Il progresso tecnologico dei sistemi di informazione-comunicazione sta accelerando e ingigantendo questi processi in forma geometrica. Il fenomeno dei cellulari a basso costo produce cambiamenti molteplici e generali, modifica il tempo umano, il lavoro, le idee. Consente di uniformare le visioni del mondo, le abitudini, le emozioni. È un processo inarrestabile. Tuttavia non privo di contraddizioni. Perché, ad esempio, il resto del mondo, che è magna pars, è diverso dall’Occidente. Questa diversità non è ineliminabile, ma è molto profonda. Le velocità di assorbimento degli effetti delle tecnologie sono diverse. Si determinano dunque contraddizioni e frizioni possenti tra logiche che si muovono a diverse velocità. Miliardi di giovani che non appartengono al mondo industriale avanzato vedono, ad esempio, l’Occidente attraverso gli smartphones a buon mercato. Che magnifica se stesso in ogni modo possibile, in forme estremamente accattivanti. Non è la realtà, ma il sogno. Che produce un desiderio irresistibile. Tanto più quanto più esso sembra a portata di mano, a poche ore di aereo. Logico che cerchino di venire a prendersi una parte del Bengodi. Ciò costituisce un pericolo per l’Occidente. Ma fa parte del progresso dell’Occidente lasciare che essi arrivino per comprare i beni che l’Occidente produce e che vuole vendere.
Ma non solo il denaro per comprare ciò che desiderano manca loro del tutto. Il fatto più inquietante è che l’intera civilizzazione dell’Occidente sta entrando nella fase in cui “non ce ne sarà per tutti”. Stiamo scoprendo che la mappa del denaro che noi abbiamo disegnato non è infinita. Tutto il nostro schema mentale è basato sull’idea che lo sviluppo del pianeta sarà infinito. Ma è uno schema che contraddice le leggi della fisica, almeno quelle che conosciamo, le quali ci dicono che uno sviluppo infinito in un sistema finito di risorse è impossibile. La mondializzazione che stiamo vivendo si trova dunque all’inizio del suo punto terminale. Presto ci troveremo di fronte a problemi che non potremo risolvere con l’attuale livello di comprensione della complessità. La stessa logica, che definirei come parossistica, del sistema finanziario creato dalla civiltà Occidentale è insostenibile, come lo è la limitatezza delle risorse planetarie. Ma come potremo cambiare rotta senza provocare collisioni possenti tra le diverse civiltà che si contendono le risorse sempre più scarse? Il riscaldamento climatico non ci consentirà di inseguire i sogni di un progresso illimitato e i padroni universali del XXI secolo non sembrano in grado di risolvere questo problema se non provocando ulteriori squilibri che sconvolgono l’ecosistema nel quale è nato l’Uomo. Per questo c’è un grande nervosismo, perché si estende la percezione della inevitabilità di uno scontro globale, che non solo si prepara tra diverse civilizzazioni, o tra diverse classi, ma soprattutto tra uomo e natura. Questo significa che cresce il pericolo di una guerra vera e propria. E, di nuovo, la tecnologia ci dice che questa guerra, se non riusciremo a evitarla si combatterà con armi di distruzione e di sterminio che non avranno nulla in comune con quelle che furono usate nella seconda guerra mondiale. I popoli europei sono armai soggiogati dal Superclan. Ma non era stata prevista la resistenza di una parte importante del mondo: Cina, Iran, Russia, giganti che sono in grado di resistere e si contrappongono ai globalizzatori, e subito dietro di loro c’è l’India. La prima metà del XXI secolo sarà il teatro di immensi sconvolgimenti post-globali…
Giulietto Chiesa
(intervento all’incontro-seminario “Sovranità/Mondializzazione” del 31 gennaio 2018)
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