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Apr
Finita l’emergenza sanitaria, a Pechino sarà presentato il conto da buona parte della comunità internazionale per le gravi responsabilità nella diffusione del coronavirus. Ecco perché la crisi può trasformarsi in una nuova Chernobyl per la Cina. L’analisi di Laris Gaiser, docente di Studi sulla Sicurezza alla Sioi e all’Università Cattolica di Milano
Il politico russo Andrey Getmanov sta proponendo ai partiti europei di sostenere l’idea di costituire in seno alle Nazioni Unite una commissione d’inchiesta che approfondisca l’ipotesi che il coronavirus sia stato creato ad arte in laboratorio ed usato intenzionalmente. Si tratta di infowar. Come ogni veterinario può spiegare il Covid19 è un virus effettivamente trasmesso all’uomo da animali.
Non è un’arma biologica, ma un’entità naturale che ha però prodotto gli effetti di un conflitto biologico la cui portata intaccherà profondamente gli assetti militari e geopolitici mondiali. Per la prima volta le unità d’analisi strategica possono studiare gli effetti di un attacco biologico capace d’indebolire intere nazioni, affossandone i sistemi socioeconomici senza minimamente intaccare l’ambiente naturale e le infrastrutture.
Mentre la maggioranza dei Paesi sta già iniziando a programmare il rilancio economico, la ricostruzione double use – cioè ad uso civile e militare – dei sistemi sanitari del futuro e la nuova rivoluzione militari, a Washington è in ridefinizione la strategia di revisione della propria postura internazionale sulla base di un decoupling rafforzato nei confronti della Cina per ridimensionarne ulteriormente le capacità di proiezione globale.
Non è una revisione isolata. Per superare la recessione economica innescata dal coronavirus i soggetti internazionali dovranno collaborare. Il mondo tornerà ad essere globale, ma sarà diversamente globale. I processi economici e produttivi saranno rivisti. E da questa revisione c’è un Paese che rischia di perdere buona parte delle sue rendite geopolitiche e, in definitiva, pagare il prezzo più alto: la Cina.
Il sistema politico cinese è caduto in quella che potremmo definire “trappola di Chernobyl”. Il rispetto dei protocolli internazionali e di una comunicazione trasparente nei momenti di crisi rappresenta storicamente una delle più gravi deficienze dei Paesi retti da sistemi politici autoritari, abituati a gestire in segreto le questioni potenzialmente dannose per l’immagine del regime.
Questa volta però l’atteggiamento della Città Proibita non ha solo danneggiato i cittadini cinesi. Ha ostacolato la condivisione tempestiva delle informazioni a livello internazionale e attraverso la minimizzazione della pandemia ha esposto al pericolo di morte migliaia di vite umane in tutto il mondo.
È oramai chiaro che il Partito comunista cinese (Pcc) ha mentito sulla reale portata del virus e non ha informato dovutamente le preposte istituzioni. È chiaro anche alle cancellerie di numerose capitali del mondo, che presto presenteranno il conto della pandemia globale a Pechino, e un ribilanciamento delle posizioni di forza. Alla responsabilità morale e politica se ne farà seguire un’altra: quella del diritto internazionale, da accertare nelle corti preposte.
Consapevole di quel che la aspetta, la Cina di Xi Jinping sta cercando di arginare l’imminente ondata internazionale di risentimento spendendo tutte le sue energie per presentarsi come nazione impegnata nell’aiuto umanitario e sanitario a favore dei Paesi colpiti dalla catastrofe.
Lo scopo è doppio: giustificare la responsabilità per la diffusione del virus con la narrativa dell’“ineluttabilità della Natura” e presentarsi agli occhi del mondo, così come dell’opinione pubblica interna, come esempio di eccellenza nel contrasto alla pandemia.
Le proteste interne e i dubbi che il virus ha insinuato all’interno della popolazione cinese hanno aperto uno squarcio nella stabilità del potere assolutista del presidente Xi. Nei prossimi mesi non è da escludere la nascita di una dinamica completamente nuova per la lotta di potere interna al Pcc.
Come in tutti i regimi autoritari in cui la stabilità del Paese dipende dalla stabilità di un solo organo politico, questa lotta intestina avrà conseguenze sociali non indifferenti nel medio-lungo termine. Se a questo si aggiunge il contraccolpo economico della crisi che inevitabilmente provocherà un deciso ridimensionamento della proiezione geopolitica della Cina, nonché un rallentamento della nuova Via della Seta, si ha un quadro sufficientemente chiaro di ciò che attende Pechino.
Chernobyl fu il sintomo, la prova e la concausa del crollo dell’Unione Sovietica. La pandemia globale di coronavirus racchiude in sé un potenziale ancora più destabilizzante per il regime comunista cinese.
Articolo pubblicato su formiche.net
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