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Mar
Cosa avverrà durante e dopo l’economia di Covid-19, dal punto di vista economico? Semplice: l’Italia andrà, anzi, è già in forte recessione, l’Europa a moneta unica seguirà a ruota. Con o senza chiacchiere sul rapporto debito-Pil.
I cinesi, all’origine della epidemia, avranno una probabile caduta del Pil a breve del 2%, ben altro dato rispetto al 9% che caratterizzava la crescita annuale di Pechino dal 2001 fino a due anni fa.
La recessione negli Usa, dicono sempre i più accreditati analisti, avrà una probabilità di accadimento del 40%.
Gli indici delle merci trasportate e degli scambi sono già, negli States, volti verso una crisi severa e lunga; e la crisi sanitaria, data anche l’irrilevanza del sistema sanitario nordamericano, potrebbe amplificare la crisi.
La Federal Reserve ha tagliato di mezzo punto, alcuni giorni fa, il suo tasso di interesse, e si prevede che la FED continuerà ancora, nelle prossime settimane, a tagliare i tassi.
Attività ormai irrilevante quella, ormai rituale, del taglio dei tassi di interesse: vuol dire solo che costa meno il denaro per chi può prenderlo a credito; una prassi che non sostituisce nessuna politica economica (che è la teoria degli investimenti di Stato) e, se non ci sono settori in crescita, nessuno prende soldi a credito, perché non sa dove investirli razionalmente.
Una cretinata, sostanzialmente, a meno che i soldi a credito non servano a comprare titoli del debito pubblico, ma allora ritorniamo alla casella di partenza: il debito pubblico, appunto. Che tutti vogliono ridurre, perché hanno studiato su testi idioti e credono che le regole dell’indebitamento siano le stesse sia per i privati che per gli Stati.
Il ’68 ha rovinato le università, le università hanno poi rovinato, con i manuali di finanza che ci ritroviamo, l’economia.
Una questione più interessante della attuale e banale finanza da casinò riguarda il fatto che la crisi industriale della Cina ha innescato un meccanismo a catena, per cui i componenti prodotti dalla “fabbrica del mondo”, la Cina, non ci sono più e sono meno del necessario; e questo blocca le economie che Mao Zedong chiamava del “Primo Mondo”, abituate ormai solo a produrre le chiacchiere inutili dette “terziario avanzato”.
L’idea delle “catene globali del valore”, che Michael Porter inventò nel 1985, è ormai più un pericolo che una soluzione, dopo il Covid-19.
E’ pericoloso e anche sciocco costruire, infatti, un cruscotto a Girona, i freni a disco sul Lago Maggiore, il motore a Wolfsburg e assemblare poi il tutto in Germania o in Cechia.
A parte che questo modello incorpora tutti i possibili tipi di dumping, ovvero quello salariale, fiscale, sociale, ecologico e chi più ne ha più ne metta, e pone in concorrenza tra loro Paesi con diversi potenziali industriali, il dumping globale non calcola i costi di trasporto e la logistica dei trasferimenti e, alla fine, crea squilibri interni ai vari Paesi, che possono essere curati solo con la spesa pubblica, che pure i globalisti credono sia solo un male.
Ma è il male derivato dalle loro eccessive iper-semplificazioni, che peraltro lasciano senza adeguati cespiti fiscali le varie economie nazionali.
Quindi, se si parla di cifre generali, per quel che valgono, la crisi da Covid-19, se tutto rimane allo stato attuale, costerà un 3,4% di punti di Pil in UE e potrebbe portare perfino alla morte per inedia della moneta unica europea.
Che è una moneta-paradosso, basata su diversi sistemi fiscali, diversissimi tipi di emissione di titoli pubblici, su differenti criteri di spesa pubblica (non c’è una norma unica per la redazione dei bilanci degli Stati che compongono l’area Euro) e, in particolare, essa è retta da una Banca Centrale che, sempre sulla base di quei famosi manuali dei miei stivali, si cura solo dell’inflazione ma non del pieno impiego. Diversamente dalla FED nordamericana, peraltro.
E pensare che, da anni, i governatori della BCE vorrebbero un pochino di inflazione, per abbattere il debito pubblico che loro stessi hanno generato, ma non riescono ancora a produrla, nemmeno con le iniezioni colossali di liquidità nel sistema bancario europeo.
Finirà, con il Covid-19, quindi, la sciocchezza delle “catene globali del valore”, diventate troppo lunghe e pericolose, finirà probabilmente la banale teoria economica corrente, elaboratrice senza fine di derivati sui titoli sia pubblici che privati; e distribuire il debito è come moltiplicarlo.
Avremo certamente il ritorno dello Stato che investe nei servizi essenziali: la salute, la scuola, le infrastrutture, tutto quello che, da oltre trent’anni, è stato lasciato andare in malora perché, tanto, c’era la piena occupazione della povertà, la gig economy, l’”economia dei lavoretti” che, però, permetteva l’indebitamento privato.
Il credito al consumo si è moltiplicato, in tutta l’UE, proprio quando si espandeva la liberalizzazione del mercato del lavoro.
E, poi, c’è la immane questione energetica.
Certo, chi ha lasciato aperta la Borsa di Milano mentre l’ENI perdeva in una sola seduta il 19% e la SAIPEM il 20%, in attesa forse della tanto desiderata (dai francesi) privatizzazione del nostro ente petrolifero, dovrebbe essere preso a ceffoni davanti a Palazzo Mezzanotte.
Ma noi abbiamo una classe dirigente che non ha alcuna idea dell’interesse nazionale, che crede coincida con quello di Bruxelles, di Parigi o di qualche altra capitale. Il provincialismo è il padre dello snobismo.
Vedremo aumentare lo shopping di Francia, Germania e Cina delle nostre piccole e medie imprese, stremate da questo lungo inverno produttivo.
Ci sarà certamente un futuro attacco, duramente speculativo, sui nostri titoli maggiori, come accadde tra il 2011 e il 2012, quando l’Italia lasciò sul terreno una quantità di capitali incalcolabile, che sarebbero stati meglio spesi per la spesa pubblica, appunto.
Inoltre, il mancato accordo tra Russia e Sauditi sul prezzo del petrolio, in ovvia caduta verticale, ha finora favorito Riyahd, che ha inondato l’occidente con i suoi idrocarburi.
La Russia gioca una carta diversa da quella del Regno, e il prezzo basso danneggia soprattutto i produttori di Shale oil and gas Usa, che hanno bisogno di prezzi alti per rientrare nei costi di produzione.
Ma Washington compra anche molto petrolio da fuori, e i prezzi bassi, comunque, danno una boccata di ossigeno all’economia nordamericana.
E l’Europa? Sta rivelando tutta la sua inanità, la sua incapacità di risolvere le proprie tensioni interne, la sua nascita all’interno di modelli economici ormai palesemente superati.
Se andrà bene per la UE, avremo una progressiva disaffezione elettorale e politica da parte dei popoli europei, che la porterà all’oblio.
Se andrà male, ci saranno altre exit dalla UE, come per la Gran Bretagna.
Ma, avendo una moneta unica, l’uscita sarà molto dura e, forse, irrazionale. Certo è che l’Europa, monetaria o meno, si indebolirà ulteriormente mentre gli Usa, se non avranno una grande infezione di massa, si rafforzeranno.
Il mito della globalizzazione, dove tutti si mettono a produrre, chissà dove, motorette o maglioncini, a basso prezzo e ad ancor più bassi salari, per consumatori impoveriti in occidente, avrà dunque fine. E noi non piangeremo.
Marco Giaconi
Per alleo.it
Marzo 2020
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