27
Feb
La domanda: che cosa è l’innovazione. Potrebbe sembrare, di primo acchito, scontata. Nessun quesito però è mai scontato, dipende sempre dalla qualità della risposta. Ivan Rizzi è presidente e docente dell’Istituto di Alti Studi Strategici e Politici (IASSP), ma più di ogni altra cosa, è un uomo che si è interrogato sui temi cari all’umanità: chi siamo, dove stiamo andando. Su etica e dignità. Su paura e inquietudine. La paura, l’inquietudine e la sofferenza sono motori incredibili. Spingono l’uomo, da sempre ad innovare. Ad evolversi. Alla ricerca di cosa? Alla fine, solo della felicità. Di attimi perfetti. La solitudine dell’essere porta ad acuire una maggiore sensibilità interiore e verso l’esterno. Per evolvere. Per innovare.
‘L’innovazione deriva da una capacità prospettica e dall’angoscia esistenziale, che altro non è che l’inquietudine, la sofferenza. Proprio la sofferenza è un motore incredibile’. A partire dalle ‘Metamorfosi’ di Ovidio: ‘Tutti gli episodi cantati nel poema hanno come origine una delle cinque grandi forze motrici del mondo antico: Amore, Ira, Invidia, Paura e Sete di conoscenza; non esistono azioni, né di dei né di uomini, non riconducibili a questi motori invisibili’. Così pure l’innovazione è mossa da questi cinque pilastri. Beck, il sociologo, parla di innovazione e tecnica: affermando che gli effetti dell’innovare creano rischi per la società, sul fronte però di una intenzionalità ‘positiva’ ideale. Pierre Teilhard de Chardin e il suo concetto di evoluzione portano a credere ancora e sempre nell’uomo, che rimane comunque incompleto, inadeguato, non accetta la paura della morte, una sofferenza senza ritorno. Per fare fronte al dolore della vita, è necessaria l’innovazione che, nella sua fattività, si poggia sulla tecnologia. Gotthard Günther, filosofo tedesco del Novecento, a ogni possibile dialettica binaria che ha sempre accompagnato il pensiero occidentale (spirito e materia, coscienza e organismo, essere e non-essere…) va aggiunto un terzo polo, il convitato di pietra: la “materia informata” – l’A.I., il dispositivo tecnologico che sta raccogliendo tutto il sapere-potere dell’umano e forse saprà rielaborarlo in una nuova, autocoscienza. Questa è la nuova metamorfosi. Dalla natura, all’io e infine alla materia informata.
Si può vivere anche senza idee. L’innovazione invece, convoca tutte le idee. Creando un ente “completo”, razionale e forse sensibile. La felicità è creatività, anche se si tratta solo di istanti, ma istanti a loro modo perfetti. Si tratta di farne un orizzonte proiettivo verso cui incamminarci organizzando la nostra esistenza. Innovare significa appunto vedere l’orizzonte. Innovare è l’orizzonte. Albert Einstein vedeva, per esempio, oltre la fisica classica. Vedeva un universo inedito. Dante, nel Paradiso, esce dal proprio universo, si sporge e vede il divino. L’incontentabilità, la capacità proiettiva, la presenza di idee, la proiezione delle stesse idee, la sensibilità, il carattere: tutto ciò determina il desiderio di felicità. Accontentarsi è un ‘trucco’ dei mistici orientali. Fare pace con quello che c’è, contro una prospettiva di abbondanza, offre uno spaccato della grande diversità del mondo. Delle differenze abissali. George Steiner affermava che è fondamentale identificarsi con le differenze, solo allora si scopre la verità. Attraverso le contraddizioni esce la verità. Gli istanti perfetti. Piero della Francesca ha immortalato, nei suoi dipinti, numerosi di questi momenti. Anelare all’innovazione significa avere tanti istanti perfetti. Attimi di felicità’.
(fonte articolo: http://tilancio.com/2020/02/26/innovare-significa-desiderare-la-felicita/)
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