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Sep
Il parere dell’ex analista finanziario della CIA.
Cerchiamo di dare un’occhiata più da vicino alla guerra economica contro la Cina innescata dal presidente Trump nel gennaio 2018. Incominciamo a precisare che sebbene gli Stati Uniti abbiano agito sul fronte della guerra economica per la prima volta nel 2018, la strategia offensiva è iniziata nel 2001, quando la Cina aderì all’Organizzazione mondiale del commercio violandone tutte le regole e ignorando le ingiunzioni dirette da parte del Wto per fermarla.
In questo senso l’anno 2018 segna l’inizio della risposta americana, non l’inizio della guerra economica.
Soprattutto è fondamentale che gli investitori comprendano che questa guerra commerciale non si limita al commercio, ma coinvolge l’egemonia militare ed economica a livello globale. Inoltre questo conflitto potrebbe avere una durata maggiore rispetto alla Cold War. Se infatti ieri il nemico principale era Mosca non c’è dubbio che adesso sia la Cina e proprio per questo gli Stati Uniti devono contenere le ambizioni egemoniche della Cina soprattutto nel contesto tecnologico. Ebbene gli investitori che non hanno compreso la vera natura di questa guerra economica saranno destinati a subire perdite rilevanti ed ingenti.
Infatti Wall Street pensava erroneamente che la guerra economica sarebbe stata breve.
Uno degli strumenti che si potrebbero usare per contente la Cina potrebbe essere quello di “sbarazzarsi” dei 1.400 miliardi di dollari in titoli del Tesoro USA detenuti dalla Cina. Teoricamente ciò potrebbe aumentare i tassi di interesse statunitensi, smorzare il mercato immobiliare e forse spingere gli Stati Uniti in recessione poco prima delle elezioni del 2020. Inoltre le banche statunitensi (possibilmente su istruzioni del Tesoro) potrebbero facilmente assorbire i titoli venduti dalla Cina per mantenere la stabilità del mercato. E se le vendite diventassero caotiche, gli Stati Uniti congelerebbero i conti cinesi (che sono registrati elettronicamente su sistemi controllati dal Ministero del Tesoro e dalla Fed). Dall’altra parte la Cina impone alcune restrizioni sia agli investimenti statunitensi sul suo territorio e sia su alcune esportazioni negli USA nel campo tecnologico. Sebbene ciò possa influire su alcune aziende come FedEx, Google e Apple, l’impatto sull’economia statunitense rimane contenuto. Insomma, la Cina ha bisogno di investimenti statunitensi più di quanto gli Stati Uniti abbiano bisogno del mercato cinese e quindi queste ritorsioni non contribuiscono certo ad aiutare l’economia cinese.
Quanto alla minaccia di cessare le esportazioni di terre rare da parte della Cina, che è il maggiore esportatore a livello globale, il Vietnam, il Brasile, l’India e l’ Australia potrebbero venire in soccorso e sostituire le esportazioni cinesi, se ciò fosse necessario.
Giuseppe Gagliano
(pubblicato il 26 Luglio 2019 su www.notiziegeopolitiche.net / fonte immagine www.francescosimoncelli.com)
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