07
Jun
È bello leggere le considerazioni del Generale Fabio Mini sul lavoro della dottoranda IASSP Chiara Màdaro ritrovandovi parole di profondo interessamento, orgoglio e stima verso le capacità di una allieva, “un giovane talento da cui imparare”. “Io sono vuoto come te e come te desidero sapere”, come disse Socrate al suo allievo Agatone che aspettava impaziente di sedersi vicino al maestro per offrire “la mia testa come una coppa vuota e tu maestro verserai in questa coppa il sapere che la verità ti ha trasmesso”.
Caro Professor Rizzi,
Mi permetto di condividere con Lei alcune considerazioni sul lavoro della Màdaro. La tesi non mi ha sorpreso, perché dal colloquio avevo capito che tipo di lavoro intendesse fare e cosa potessi aspettarmi. Ma sono rimasto letteralmente stupefatto dalla sua capacità di ricerca, analisi, sintesi ed esposizione.
La tesi non è solo una fotografia obiettiva e impietosa della realtà dei fatti , è uno sguardo tecnico-scientifico che passa continuamente e saggiamente dal generale al particolare, dalla periferia al centro, dal telescopio al microscopio, dallo spazio aperto al granello di sabbia.
L’argomento era particolarmente difficile e scivoloso. Ogni fatto, pur incontrovertibile, ed ogni commento, pur giustificato e ragionevole, poteva indurre alla strumentalizzazione, alla provocazione, alla contestazione ideologica, alla cospirazione e alla dietrologia. La grande capacità di osservazione scientifica della Màdaro le ha consentito di evitare tutto ciò. Nella tesi non ci sono argomenti o aspetti e dettagli poco significativi o generalizzazioni poco pertinenti. La stessa enfasi posta sul ruolo delle grandi multinazionali nel dissesto globale che sta colpendo il sistema di sussistenza e sopravvivenza non può essere sospettata di bias ideologico.
In realtà, visto l’ambito disciplinare in cui la Màdaro ha svolto la ricerca, non certo famoso per trasparenza, i suoi giudizi sono perfino moderati e comunque dimostrano che “possiede” la materia e che l’ha studiata e vissuta con passione, con l’intima convinzione che essa meriti sia lo studio attento sia l’energia emotiva necessaria a sollecitare interventi e compartecipazioni. Non è uno show di conoscenza, che pure è tanta, né un trattato asettico, nonostante le intenzioni: è un tacito appello alla coscienza di tutti, garbato ma potente.
Immagino che Lei , Professore, nella sua vita di studioso e docente, abbia conosciuto molti giovani di talento e ne abbia saputo valutare e indirizzare le potenzialità. Non so quanti dei Suoi giovani di talento Le abbiano insegnato qualcosa o l’abbiano indotta a riflettere. La legittima soddisfazione dell’insegnamento sta nel seminare, ma la sua straordinaria bellezza si realizza soltanto nella fecondità del terreno in cui il seme può germogliare e crescere acquistando vitalità propria e quindi originalità.
Sono certo che Lei ha cercato di trarre da tutti i Suoi allievi il meglio che potessero offrire, ma non so quanti di essi siano poi cresciuti in autonomia e originalità. Vorrei fossero tutti e sarebbe per Lei motivo di legittimo orgoglio anche se non fossero tanti. Anch’io, in un ambito diverso, sono stato orgoglioso di avere dipendenti e allievi che comprendessero il mio pensiero e condividessero i miei approcci alla professione e alla vita. Ma mi è capitato solo tre volte di dover riflettere e imparare da loro.
La prima è stata la risposta di un giovane capitano di corvetta al quesito su quale fosse la causa fondamentale degli squilibri globali. Mi aspettavo che dicesse la smania di potere, le sfide alla sicurezza, il terrorismo, la competizione per le risorse o altre cose sulle quali si era concentrato il corso. Invece mi rispose: “la non equa ripartizione della ricchezza”. Aveva ragione e dovetti riflettere sull’equità e sulle sue differenze con le populistiche “parità” e “omogeneità” da un lato e il “privilegio” per ragioni di nascita, censo o funzione sociale, dall’altro.
La seconda volta fu l’incontro con una giovanissima poliziotta cinese. Mi chiese come vedessi la situazione del suo paese. Risposi che i progressi fatti non avevano risolto i problemi e anzi ne stavano creando di nuovi. “Wuguan, mi disse, noi non abbiamo “problemi”, abbiamo “cose da fare”. Riflettendo sui due termini mi resi conto che una cosa da fare diventa un problema solo se mancano idee, conoscenze, capacità, volontà, piani e risorse. Evidentemente la ragazza sapeva che la Cina possedeva tutto il necessario per fare qualsiasi cosa. Forse non era vero , ma imparai che il modo occidentale, e in particolare italiano, di affrontare le cose è perdente in partenza. Ogni cosa è un problema perché manca tutto.
La terza volta è stata la lettura della tesi della Màdaro: abbiamo creato i miti della tecnologia, della potenza e della ricchezza speculando sulla sicurezza e la sopravvivenza. Riflettendoci: non è un fatto casuale e nemmeno esclusiva colpa delle multinazionali o dei governi. È colpa nostra, ed è mia nel senso di mia generazione. Avremmo potuto intervenire per impedirlo, per correggerlo, per proporre un nuovo modo di vivere e agire. Non l’abbiamo fatto. Dovremmo intervenire e scusarci con le generazioni fregate e assicurarci che non vengano fregate quelle future. Non lo facciamo. Questo mi dice la tesi e purtroppo devo condividerlo. Ma sono veramente grato alla Màdaro e a Lei, Professore, per l’opportunità che mi offerto di avvicinarmi ai nostri giovani talenti e per le lezioni apprese.
Un caro saluto, con molta stima e cordialità, Suo, Mini.
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