03
Jun
Recensione di La democrazia totalitaria. Messianesimo e violenza rivoluzionaria nelle dottrine giacobine e marxiste, di Giuseppe Gagliano, Aracne, Roma 2014, pagine 216, euro 15.
Il maggior pregio del libro di Giuseppe Gagliano è di non essere originale. Perché questa caratteristica sia in questo caso un pregio è presto detto. Di fronte a testi che ci pongono dinanzi a interpretazioni nuove e persino in qualche caso spiazzanti di processi teorico-politici, a volte pregevoli altre meno, Gagliano si inserisce in un solco ben arato: quella della critica alla democrazia totalitaria, sia nella versione illuministico-giacobina sia nell’altra (alla prima legata per mille fili) socialistico-marxista. Ma è virtuoso, a mio avviso, farlo con la pulizia concettuale e l’acribia bibliografica con cui Gagliano la fa, in modo da far essere il suo libro alla fine quasi un riepilogo essenziale della questione (con il richiamo ai testi fondamentali). Ed è ancora più virtuoso farlo in un momento storico come questo, in cui risuona ancora una volta il vecchio e consumato refrain su una crisi che si vorrebbe irreversibile (quante volte nel passato!) del liberalismo e del capitalismo: vittime, si dice, di loro “insanabili contraddizioni” (dimenticandosi che è loro essenzavivere sempre “in crisi”, cioè come contraddizione e contraddicendosi continuamente: nella tensione non nella realizzazione).
È un merito di Gagliano ricordarci la verità fondamentale del liberalismo, che non è né di destra e né di sinistra: non esistono una Verità e un Bene sovrastorici che noi, attraverso l’intermediazione dell’intellettuale-filosofo (la cui figura assomiglia a quella dei vecchi teologi), dovremmo semplicemente individuare e adeguare con la nostra azione e quella ad essa seguente di tutto il corpo sociale. Il quale potrà pure essere più o meno recalcitrante, ma dovrà per forza, con le buone e più spesso con le cattive, ubbidire, “per il suo bene”. In una ebbrezza di perfezionismo e paternalismo che, semplicemente, non sono più riproponibili, nemmeno o tanto più in un’ottica socialista. Oltre che la teoria, nol consente la lunga storia di una vicenda che ha segnato di sé, tragicamente, una parte della modernità. Dall’ambiguo concetto di “volontà generale”, così come è stato formulato da Rousseau, alle idee comunistiche di Babeuf e Buonarroti, fino al messianesimo di Marx e al leninismo, Gagliano ripercorre, con semplicità e competenza, una storia che ancora pesa su molte nostre scelte e sulla mentalità di molti di noi. Soprattutto in questo nostro Paese, che ha avuto il più grande Partito comunista del mondo occidentale, la cui vicenda “egemonica” non è passata certo invano, nel bene come nel male.
È fin troppo evidente, sin dalla scelta del titolo, che il debito maggiore Gagliano lo ha contratto con Jakob Talmon e con il suo classico libro del 1952 su Le origini della La democrazia totalitaria. Un testo che dovrebbe figurare, accanto a pochi altri (ad esempio Le origini del totalitarismo di Hannah Arendt, che uscì l’anno prima, nel 1951) in ogni biblioteca liberale (e non solo) che si rispetti. E che invece oggi è dimenticato, o addirittura contestato da alcuni intellettuali à la page secondo me sempre meno liberali e sempre più nostalgici di soluzioni comunitaristiche o addirittura del comunismo abbracciato in gioventù ((mi riferisco alle continua affermazioni di Nadia Urbinati contro quelle che ha definito “le ossessioni dei neoliberali, da Talmon a Furet a Berlin”).
Il richiamo a Talmonmi permette poi di fare anche una considerazione: è con piacere che osservo che Gagliano fa propria una definizione di democrazia che credo importante, a maggior ragione oggi che tanto si discute sul tema, soprattutto della più o meno presunta “crisi della democrazia” (credo che se ne discuta troppo, se è vero come è vero che la riflessione sulle forme della politica fa dimenticare l’attività che le pone in essere, cioè la politica stessa). Faccio un esempio.
Recentemente, è stato pubblicato un piccolo ma denso libro di Giuseppe Galasso su Liberalismo e democrazia: la preparazione storica e la capacità di sintesi dell’autore, e anche dal mio punto di vista la sua prospettiva realistica e storicistica, rendono sicuramente pregevole e da consigliare il volume. Eppure, egli parte da una distinzione concettuale fra democrazia e liberalismo che non mi convince, ritenendo molto più adeguata quella che ritrovo nel libro di Gagliano e che è propria di molta parte del pensiero novecentesco (e che è anche quella di Croce, al cui pensiero pure Galasso si ispira).
Da questo punto di vista, il principio liberale e quello democratico non possono essere messi sullo stesso piano, come fa Galasso, considerando l’uno più attento alle ragioni dell’individuo e l’altro a quello dello Stato. Se non altro perché Individuo è Stato rappresentano una coppia bipolare tipica ed esclusiva dell’età moderna o della modernità politica. Per me invece il liberalismo è una concezione morale; laddove la democrazia è semplicemente una tecnica politica (o politico-giuridica) di organizzazione del consenso e perciò una procedura di voto (non è un caso se si dice che in democrazia le teste si contano e non si pesano e tanto meno spaccano). È ovvio che, dopo l’avvento delle masse sulla scena della storia (e anche dopo la loro “nazionalizzazione”, per dirla con George L. Mosse), viviamo in un’epoca di per sé democratica. Ma la “democrazia liberale”, che a volte (forse per pigrizia) chiamiamo democrazia senz’altro, non è per nulla scontata. E con ragione si può parlare, e si parla, di democrazia socialista, cattolica, e anche e per l’appunto “totalitaria” (mentre Galasso è costretto ad affermare, coerente col suo punto di vista, che “‘democrazia totalitaria e ogni altra definizione analoga sono contraddizioni in termini”).
Ha perciò perfettamente ragione Giovanni Orsina quando avverte, in antitesi con le tesi di Dario Antiseri, che non bisogna identificare il liberalismo col relativismo etico perché anche per i liberali ci sono valori non negoziabili. Sbaglia tuttavia, mi sembra, nell’identificarli con la dignità dell’uomo o la tolleranza (vedi “Il Foglio” di giovedì 6 marzo 2014). Dignità e tolleranza non esistono che come idee astratte, e pertanto irreali, e che non possono essere garantite: vivono solo come tensione, lotta, relazione. Ciò che invece esiste e va preservato, ed è l’unico aspetto connotativo del liberalismo come valore, è la volontà di tenere sempre aperto e mai chiuso il campo di gioco ove si confrontano e scontrano le diverse e mutevoli idee di bene è verità. Un libro come questo di Gagliano si ripromette di ricordarcelo. E già solo per questo non può che essere apprezzato e considerato.
Corrado Ocone
(recensione tratta da Il liberalismo e la democrazia)
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