03
Apr
Cos’è l’intelligence? Un insieme di teorie e di pratiche politiche, economiche e militari che si sommano e sovrappongono, temporaneamente, tra di loro.
Non si tratta quindi di una scienza ad hoc, anche se ci sono sempre, in essa, molti elementi di origine empirica e scientifica, ma è comunque un’arte.
Certo, nella tradizione anglosassone si è teso a formalizzare il processo dell’intelligence, sia militare che economica, sperando che questo favorisse il suo potere predittivo.
Ma i fatti si sono incaricati di smentire questo assunto formalistico e scientista.
Tradizionalmente, l’intelligence serve a sapere le cose che gli altri non ci vogliono dire.
Ma serve anche a sapere il modo in cui il nemico (o l’amico) usa le cose che sappiamo di lui e, ancora, ci aiuta a capire come egli utilizza le cose che lui sa di noi.
Nella storia recente dell’intelligence, si è data, lo dicevamo, molta importanza alla tecnologia e alle procedure formalizzate di analisi.
È mancata finora la tradizione della raison d’état, mentre si è diffusa la cultura dell’autonomia dei corpi separati della società, che sembrano, oggi (ma è una falsa percezione) operare autonomamente dagli Stati.
In molti casi, anche oggi, si utilizzano computer molto potenti per selezionare le notizie interessanti, con il data mining e con le altre tecniche di Intelligenza Artificiale che, come tale, è nata per insegnare ad una macchina a pensare come un umano.
Sono procedure utilissime, ma prive di indirizzo politico o economico, che deve essere inserito dall’esterno.
Ma, pure oggi, vi sono analisti che privilegiano le valutazioni strategiche e geopolitiche tradizionali, che possono essere collegate alle analisi empiriche.
Il potere di imporre la propria moneta, la capacità di dirigere uno sviluppo tecnologico, la forza di stabilire gli standard culturali, politici, simbolici sono tutti esempi di un concetto vecchio ma non ancora morto, quello di egemonia.
L’intelligence, soprattutto quella economica, è proprio il tentativo di imporre la propria egemonia nel mercato-mondo, in un settore determinato e per un tempo utile.
Ma, in ogni caso, si mettono insieme, qui, stili di interpretazione e finalità operative, che si devono fondere in un progetto unico.
Il problema è che il potere, anche economico, vive oggi in una fase di forte instabilità.
Quindi, per i Paesi come per le imprese, il problema principale è quello di essere realmente indipendenti dalle mosse altrui e, anche, di detenere le variabili future dei sistemi produttivi centrali (telecomunicazioni, informatica, biotecnologie, etc.).
Quindi, il problema, per tutti i Paesi avanzati, è quello di possedere le tecnologie-chiave, quelle che saranno essenziali per comandare (o rimanere) nella competizione globale.
Certo, occorre che ci sia una classe dirigente che tenga insieme gli sforzi di un Paese per dirigerli là dove serve.
Non si può dire che questo sia l’attuale caso dell’Italia. Ma il sistema produttivo può, in gran parte, fare da solo, acquisendo gli equilibri dei mercati mondiali, reagendo ad essi, identificando i punti deboli degli avversari e utilizzandoli.
È il fine, lo speriamo, della nostra Scuola di Intelligence Economica.
Marco Giaconi
Aprile 2019
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