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Apr
La giustificazione dell'”austerità” è che lo Stato non ha i soldi. E per questo bisogna diminuire i salari e aumentare le tasse. Questo il modo tradizionale di pensare ridotto all’osso. Da più di venti anni Warren Mosler e la scuola economica che ha ispirato spiegano che in un sistema di moneta come quello attuale tutto questo è sbagliato. In America quest’anno, di colpo, si parla moltissimo di questa scuola di pensiero, chiamata MMT o Teoria della Moneta Moderna: più di duecento articoli apparsi in pochi mesi sui giornali più importanti. Warren Mosler non è un professore universitario, ma un importante operatore finanziario, e ha sviluppato una serie di intuizioni sulla moneta attraverso la sua esperienza pratica di investitore.
Mosler si è convinto dell’errore del modo di pensare comune quando operava come gestore di un fondo che comprava i nostri BTP. Nel settembre 1992 l’ Italia era appena uscita dallo SME, il “serpente monetario” che vincolava tra loro le principali valute europee, e uscendone la lira aveva svalutato di oltre il 20% verso il marco. I tassi di interesse sui BTP erano saliti intorno al 12% perché molti sul mercato temevano un default e anche economisti importanti come Rüdiger Dornbusch parlavano di un probabile crac.
Warren Mosler andò a parlare a Roma con il Ministro del Tesoro Luigi Spaventa per vedere se si rendeva conto anche lui che l’Italia, essendo tornata ad avere la propria moneta indipendente, non rischiava in realtà nessun default. Nel colloquio Spaventa fece capire che l’ Italia non avrebbe avuto alcun problema a ripagare i BTP perché ora aveva recuperato la propria sovranità monetaria. Mosler fece allora comprare al suo fondo BTP in modo massiccio prendendo a prestito lire a tassi molto più bassi dei BTP. Non ci fu nessun panico, come aveva detto Spaventa, e negli anni seguenti i tassi di interesse dei BTP scesero pure e il loro prezzi simmetricamente aumentarono, e Mosler fece una fortuna.
Il panico sul deficit e il debito pubblico non aveva alcun senso perché dal punto di vista operativo, la Banca Centrale di fatto anticipa sempre i soldi che poi lo Stato spende. Nel sistema monetario attuale il denaro che lo Stato spende viene creato con entrate contabili dalla sua banca, la Banca Centrale, la quale non ha mai rimandato indietro un assegno del governo perché “non c’erano soldi sul conto”.
Se il debito che lo Stato vende sul mercato è nella propria valuta quello Stato non rischia mai un default.
METODO SBAGLIATO – Il modo di pensare comune sul deficit pubblico è che lo Stato, per poter spendere, deve prima tassare o prendere a prestito dei soldi, come una famiglia o una impresa che deve prima procurarsi i soldi per poterli spendere. Per cui anche lo Stato, proprio come una famiglia, deve come si usa dire “tirare la cinghia”, quando non ha soldi. Ma come è possibile che tutti, Stato, cittadini e imprese debbano prima procurarsi i soldi da qualcun altro? Se lo Stato deve prima tassare per poter pagare gli stipendi da dove prendono i soldi i cittadini per pagargli le tasse?
Mosler e la MMT spiegano che è assurdo pensare che se lo Stato non si procura prima soldi dai cittadini non possa poi spendere perché nella realtà del sistema di moneta a corso forzoso e di Banca Centrale in cui viviamo, accade proprio il contrario: se lo Stato prima non spendesse, non ci sarebbero i soldi per i cittadini per pagare le tasse (o comprare titoli di stato).
La realtà degli ultimi venti anni ha confermato l’ interpretazione di Mosler. E oggi tutti gli americani, e di qualsiasi idea politica, lo riconoscono, anche se siamo certi che nessuno penserà per questo di dargli il premio Nobel.
Molti commentatori dicono che Trump implicitamente applica le tue idee sul deficit pubblico visto che lo ha ampliato e ha sempre respinto i suggerimenti che lo invitavano a preoccuparsene. Pensi che Repubblicani e Democratici seguano il MMT anche se non lo riconoscono esplicitamente?
«Posso solo sperare che lo facciano.
Ci sono sempre state due preoccupazioni sulla spesa in deficit. La prima è che troppa può causare inflazione, il che è vero, e la seconda è che gli Stati Uniti possono in qualche modo “andare in bancarotta” e finire come la Grecia, come ripeteva un tempo il deputato Paul Ryan, e questo non è vero. Mi auguro che ora tutti lo comprendano e operino di conseguenza».
Gli Stati Uniti stanno andando bene mantenendo ampi deficit finora e nessuno nei mercati e nella classe politica sembra essere preoccupato. Pensi che ci possano essere problemi in futuro per l’ economia americana, come una recessione nel prossimo anno?
«Sì, la guerra commerciale con la Cina sembra avere un costo e l’ adeguata risposta politica per sostenere la crescita sarebbe un deficit pubblico ancora più alto in America. Tuttavia, negli ultimi mesi devo dire non ho visto alcun segno di questo tipo di proposte in termini concreti, e la crescita degli Stati Uniti sta rallentando».
Tra il 2013 e il 2017 hai speso molto tempo in Italia e con l’ aiuto di Paolo Barnard, che ha contribuito molto a divulgare il tuo pensiero, hai girato il paese tenendo decine di conferenze e discorsi creandoti un seguito e poi hai anche lavorato all’università di Bergamo. Sono passati però altri anni e siamo ancora bloccati dall’austerità, anche dopo aver eletto un nuovo governo “sovranista”, che alla fine ha mantenuto il deficit al 2%. E ora stiamo entrando in recessione. Cosa potrebbero fare Salvini e Di Maio?
«Quello che possono fare è spiegare a Bruxelles che il limite del 3% del PIL di deficit debba essere portato all’8% per tutti i paesi membri. Invece di usare i tassi di interesse come strumento di politica economica (che non serve a niente) bisogna che la politica fiscale diventi strumento di politica economica. Non serve forse molto fare proposte specifiche solo per l’ Italia. Ora per il vostro paese sarebbe il momento giusto per proporre una politica macroeconomica comune assumendo una posizione di leadership all’interno eurozona».
Cosa si potrebbe fare per lo spread? Oggi solo 1/3 del debito pubblico italiano è in mano a fondi, pensioni e assicurazioni italiane. Sarebbe possibile per il governo italiano ottenere che le famiglie italiane, che hanno un’ elevata ricchezza finanziaria, ricomprino le obbligazioni italiane e ridurre così la minaccia dello spread?
«Non credo che questo aiuterebbe in modo risolutivo. Bisogna costringere la BCE a garantire di “fare tutto ciò che serve” contro il default, una garanzia messa per iscritto e da considerare in qualche modo “legge”. Questa garanzia eliminerebbe il rischio di spread dai paesi membri della UE.
Inoltre toglierebbe alla BCE la capacità di utilizzare tale strumento per imporre ai governi l’austerità. I Trattati UE non attribuiscono alla BCE la giurisdizione e la competenza sulla politica fiscale dei governi, la quale resta una loro prerogativa. Ciò che in Europa dovete superare è il fatto che la BCE possa continuare a condizionare i governi imponendo loro di rispettare l’ austerità, come è avvenuto per l’ Italia.
Se non è possibile convincere le istituzioni europee a fare quello che proponi e l’ Italia piomba in una recessione cosa potrebbe fare il governo?
«Se la UE non accetta di ampliare i deficit e sostenere l’ economia non vedo una via d’ uscita per l’Italia più di quanto i singoli Stati degli USA ne abbiano una se il governo federale USA togliesse loro il supporto e li abbandonasse a loro stessi. Per quanto riguarda ipotesi di moneta addizionale o di alterazione della denominazione del debito, bisogna tenere presente che queste mosse probabilmente indurrebbero la BCE a minacciare ritorsioni e questo farebbe subito aumentare lo spread».
È vero che la BCE può minacciare ritorsioni, come dici, ma non possiamo rimanere paralizzati e poi finire travolti da un altra crisi come nel 2008 o nel 2011…
«È vero. Sono d’accordo con queste vostre considerazioni. In teoria il mio “Piano A” funzionerebbe, ma ci sono questi problemi pratici e politici. Per questo motivo proporrei anche un “Piano B” per l’Italia che sia credibile e quindi possa essere usato come leva per spingere avanti la discussione. Come in molte faccende esiste un modo giusto e uno sbagliato di implementarlo. Bisogna fare due cose. Non uscire di colpo dall’euro con tutte le complicazioni del caso, ma semplicemente far sì che lo Stato italiano inizi a spendere e tassare in lire. Assumendo che la nuova lira sia fissata a 1 euro = 1 lira, lo Stato inizierebbe a pagare fornitori, pensioni e stipendi in questa moneta nello stesso ammontare e anche a richiedere simultaneamente che le tasse siano pagate in lire. Una volta che hai fatto questo hai di nuovo una politica fiscale e monetaria indipendente e puoi riportare la prosperità in Italia. Ma c’è una seconda cosa molto importante. È essenziale non convertire gli euro esistenti nei conti bancari in Italia in lire. Molti piani che ho visto prevedono la conversione forzosa degli euro in lire e sono categoricamente contrario. Creerebbe panico».
Quindi si tratterebbe di una vera propria nuova moneta in parallelo all’euro utilizzata dallo Stato, ma non una moneta legale che sostituisce l’ euro e in cui viene convertito tutto. Cosa succederebbe però al valore di questa moneta, si svaluterebbe rispetto all’euro?
«Se forzi la conversione degli euro in lire avrai molta gente per niente contenta di ritrovarsi con le lire, corre a cambiarle in euro e la lira si svaluta e può svalutarsi molto, del 40% ad esempio. Senza contare che anche molto prima del giorno della conversione ci sarebbe una fuga di capitali, la Banca Centrale non saprebbe come fermarli e alzerebbe i tassi di interesse, la svalutazione farebbe aumentare il costo delle importazioni e alla fine hai un caos, il governo cade ecc.».
Sì, questa è sempre stato il problema cruciale quando si parlava di ritornare alla lira.
«Tutto questo si può però evitare se ci limita a tassare in lire e pagare le spese dello Stato in lire, senza imporre alcuna conversione in lire delle migliaia di miliardi di euro che oggi sono in banca. Li devi lasciar stare, la gente deve poter tenersi i suoi euro se li vuole e l’ euro continuare a circolare come prima tra privati e con l’ estero. Così la UE dovrebbe anche lasciarvi in pace. Dato però che lo Stato richiederebbe di pagare le tasse in queste nuove lire, si creerebbe una domanda di lire da parte di chi deve pagare tasse.
In questo modo le lire tornerebbero a circolare. Non ci sarebbe invece ragione di cambiare le lire in euro, visto che comunque i propri risparmi restano in euro. Non ci sarebbe quindi nessuna fuga di capitali dalle banche italiane. Ci sarebbe semmai una scarsità relativa di lire rispetto agli euro perché in Italia ci sarebbero migliaia di miliardi in banca in euro e non ci sarebbero lire, se non quelle che lo Stato spende nel corso dell’ anno. Per pagare le tasse molti avrebbero bisogno di lire e venderebbero i loro euro per lire e in questo modo la svalutazione della lira sarebbe molto limitata».
Ma cosa succederà poi nel corso del tempo? La nuova lira si sostituirà all’euro?
«Dato che lo Stato italiano spende e tassa per cifre enormi, questa doppia circolazione di lire ed euro non durerebbe in eterno, ma lentamente, forse nel corso di alcuni anni, si tornerebbe ad usare prevalentemente lire. Sempre però in modo volontario e graduale, senza mai toccare i soldi in euro in banca degli italiani. La differenza con i piani di uscita dall’euro che ho visto circolare nel vostro paese è che si eviterebbe una pesante svalutazione iniziale e il panico con fuga dalle banche per portare via gli euro onde evitare che il governo li converta per decreto una mattina in lire, come mi pare alcuni euroscettici propongono o proponevano in Italia. Con questo piano il governo riavrebbe il controllo di una sua moneta indipendente con cui spendere e tassare e potrebbe risanare l’ economia dimezzando ad esempio l’IVA, spendere per infrastrutture e fare altre cose socialmente utili».
di Paolo Becchi
e Giovanni Zibordi
(Articolo pubblicato il 15 aprile 2019 su LiberoQuotidiano.it)
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