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Tutto è iniziato il 17 novembre scorso, quando Macron ha annunciato l’aumento della tassa sulla CO2, una misura che si voleva ecologica e che ha scatenato l’ira di tutti coloro che non possono permettersi il lusso di pensare alla fine del mondo, visto che non riescono ad arrivare alla fine del mese. Le manifestazioni hanno acquistato sempre più forza e, l’1 e l’8 dicembre scorsi, Parigi si è trasformata nel teatro di una vera e propria guerriglia urbana: più di 8000 agenti di polizia dispiegati, negozi barricati, tank blindati nelle strade. In un attimo, i lunghi viali degli Champs Elysées diventano un campo di battaglia. Alle urla dei manifestanti, i CRS rispondono con potenti scariche di gas lacrimogeni e granate. L’aria si fa irrespirabile mentre i gilets gialli lanciano petardi e bottiglie incendiarie. I giornalisti si muovono timorosi accompagnati da doppie scorte. Se non fosse per l’Arco di Trionfo (danneggiato) che si scorge oltre la cortina di gas e per gli alberelli pateticamente illuminati lungo i viali, non si direbbe certo Parigi sotto Natale.
Il movimento dei gilets gialli non riflette solo la crisi sociale della Francia, ma quella molto più vasta delle democrazie occidentali moderne. L’Europa vi è immersa fino al collo, come dimostrano i casi dell’Italia, della Svezia, della Gran Bretagna, della Germania, della Spagna. Nessun paese del vecchio continente può dirsi estraneo a un fenomeno che le élites hanno genericamente battezzato con il termine dispregiativo di “populismo”. Ha fatto la fortuna dei partiti di estrema destra e dimostrato l’incapacità radicale delle sinistre moderate di farsi carico delle esigenze della maggioranza dei cittadini.
Quando i gilets gialli sono scesi nelle piazze e nelle strade di tutta Francia al grido comune di Macron Démission, non chiedevano solo salari e pensioni più alti, meno tasse sui beni di prima necessità e assistenze sociali migliori (rivendicazioni, certo, fondamentali). Chiedevano anche- e chiedono ancora- di avere un ruolo attivo nelle decisioni politiche del loro paese, da cui si sono sentiti abbandonati.
Una particolarità di questo movimento nato su internet e cresciuto a velocità esorbitante è il suo rifiuto sistematico di farsi rappresentare da un leader. Il popolo non si fida più dei suoi governanti e rifiuta il principio di rappresentanza, che è tuttavia uno dei pilastri della nostra democrazia. Una delle rivendicazioni più interessanti avanzata dai gilets gialli è infatti quella dell’istituzione del Referendum di Iniziativa Cittadina (RIC). Thomas Miralles, portavoce catalano dei gilets gialli, spiega che tale strumento dovrebbe avere una forza Legislativa, Abrogativa e Consultiva. Il che significa che i cittadini, non fidandosi più dei loro capi, vogliono scriversi, approvarsi e cancellarsi le leggi da soli, finanche rivedere la Costituzione.
È il sogno che si avvera di Ethienne Chouard, grande sostenitore dei gilets gialli e professore in economia e diritto, che dall’inizio degli anni Duemila predica la fine della democrazia rappresentativa. “Il Referendum di Iniziativa Cittadina dovrebbe dare vita a leggi dalla forza vincolante, in modo tale che gli altri poteri non possano contrastarle. Tali norme dovrebbero trovarsi in cima alla piramide dello Stato di Diritto, vale a dire al di sopra della legge, della Costituzione e dei Trattati Internazionali”, ha dichiarato in una recente intervista su RT France.
In realtà, si tratta di un’utopia pericolosa, che non tiene conto del fatto che una decisione non è giusta solo perché voluta dalla maggioranza e che la democrazia non è una forma di governo, ma un semplice esoscheletro che permette di destituire i governanti ed eleggerne di nuovi senza spargimenti di sangue (Karl Popper, “La società aperta e i suoi nemici”).
Per quanto l’idea di un governo affidato al volere del popolo in quanto mera maggioranza sia pericolosa, alla base di questa rivendicazione c’è un’esigenza che deve essere ascoltata. Per troppo tempo le élites hanno disprezzato il popolo, per troppo tempo le periferie sono state volutamente ignorate e declassate al rango di zone semi-urbane. Il sociologo francese Christophe Guilluy lo scrive da anni: c’è uno scarto sempre più profondo fra la Francia urbana e la Francia periferica e le vittime della mondializzazione non resteranno in silenzio per sempre. Sta accadendo : con i gilets gialli, le periferie si sono riversate nella capitale e hanno portato con sé la loro rabbia e la loro frustrazione, che è il risultato di anni di politiche economiche ultra-liberali.
La risposta di Emmanuel Macron non è stata giudicata all’altezza dalla maggior parte dei manifestanti, come dimostra il protrarsi delle proteste : un Acte VI è infatti previsto per questo sabato. Nello specifico, l’annullamento dell’aumento della tassa sulla CO2 è arrivata troppo tardi (l’annuncio dell’Eliseo è stato divulgato da France Info mercoledì 5 dicembre), quando il movimento aveva ormai acquisito una portata molto più vasta della semplice protesta a una legge ingiusta.
Nemmeno il discorso ufficiale di Macron del 10 dicembre è servito a calmare gli animi. Durante il suo annuncio televisivo, il presidente della Repubblica ha infatti elencato le misure che il governo adotterà nel 2019 per venire incontro alle rivendicazioni dei gilets gialli. Fra queste, l’aumento di 100 euro del salario minimo (SMIC) a partire da gennaio.
Ma non è tutto oro quello che luccica, perchè, in realtà, ad aumentare non sarà il salario minimo (SMIC) di per sè, ma la “Prime d’Activité”, un aiuto sociale previsto per i lavoratori più modesti. In realtà, nel 2019 il salario minimo aumenterà di soli 20 euro e gli altri 80 proveranno dall’aumento della “Prime d’Activité”: una misura prevista dal governo già prima delle manifestazioni dei gilets gialli.
Si potrebbe contestare che, “Prime d’Activité” o salario minimo, l’importante è che i soldi arrivino nelle tasche dei lavoratori. Non è proprio così : la “Prime d’Activité” ha infatti lo svantaggio non da poco di non essere considerata alla fine della vita lavorativa, cioè quando viene calcolato l’ammontare della pensione. L’ira dei gilets gialli non sarà placata da quelle che sono state definite come “misurettes”, misure fittizie che servono solo a arginare una crisi che ha radici molto più profonde.
Quando giustificata, come nel caso dei gilets gialli, la rabbia non è un sentimento negativo, ma la sana espressione di un problema che deve essere risolto. Il problema, però, concerne il cuore stesso della nostra democrazia, che è chiaramente malata. Riformare le nostre forme di governo aggiungendo più elementi di democrazia diretta, salvaguardare le istituzioni a livello nazionale ed europeo, combattere un sistema economico che sacrifica la dignità dei più per il benessere di pochi, è un compito comune di cittadini e governanti. I gilets gialli, con le loro rivendicazioni, hanno gettato un faro di luce sulle contraddizioni della nostra società e sulle sfide che ci attendono. Meritano di essere ascoltati.
Maria Elena Gottarelli
Corrispondente IASSP da Parigi
(immagine di apertura: Manifestazione di gilets gialli a Parigi, 8/12/18)
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