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Philippe Caduc è il Presidente e Direttore Generale dell’Adit, agenzia di Intelligenza Economica francese con base a Parigi ma con sedi sparse in 30 diversi paesi in tutto il mondo. Con un fatturato annuo che sfiora gli 80 milioni di euro, l’Adit non conosce rivali in Francia nel suo settore. Fondata nel 1992 per volere dello Stato, rappresenta il perno della strategia aziendale francese, con l’obiettivo dichiarato di fornire ai suoi clienti le informazioni necessarie per sopravvivere e svilupparsi su suolo nazionale e internazionale. “Capire chi convincere, e convincere senza corrompere” è il motto del suo presidente, un uomo nel cui sguardo grigio terso coesistono onestà e riservatezza, trasparenza e imperscrutabilità. Durante l’intervista, svoltasi nella sede direttiva dell’Adit a Parigi, Philippe Caduc definisce l’Intelligenza Economica come una forma di sano patriottismo, un modo di valorizzare e proteggere il proprio paese, senza per questo disprezzare le alleanze esterne, al contrario: privilegiandole. Un modello appetibile anche oltralpe?
MEG: Qual è la sua definizione di Intelligenza Economica?
PC: La mia definizione di Intelligenza Economica è operativa, vale a dire concreta. Credo che in Francia come altrove si tenda ad avere una visione dell’Intelligenza Economica troppo inglobante. Essa viene considerata come uno strumento di anticipazione, padronanza dell’informazione e messa in atto di strategie di influenza: tutto ciò è vero, ma non sufficiente. Più concretamente, l’Intelligenza Economica è ciò che permette a un’azienda di ridurre la percentuale di incertezza nell’ambiente che la circonda. Nel momento in cui un’azienda mette in atto una strategia di conquista su un terreno internazionale, che si tratti di crescita organica o di strategia di crescita esterna, essa ha bisogno di ridurre al minimo i rischi e di avere una comprensione più completa possibile dell’ambiente all’interno del quale dispiega le sue attività. Qui entra in campo l’Intelligenza Economica, che serve a fornire al suo cliente (l’azienda) le informazioni necessarie per il suo sviluppo, riducendo i rischi. Senza una posta in gioco concreta e operativa, non si dà Intelligenza Economica. Un altro concetto fondamentale è quello di trasversalità. In Francia, purtroppo, l’amministrazione pubblica resta circoscritta in perimetri adiacenti ma non comunicanti. Ogni ministero si occupa del suo specifico campo, senza interagire con gli altri. L’Intelligenza Economica presuppone invece di far cadere queste barriere.
MEG: Qual è il metodo operativo dell’Adit?
PC: Quando si parla di metodo in termini di Intelligenza Economica (almeno come la intendiamo qui) è necessario stabilire dei confini ben precisi fra ciò che è lecito e ciò che non lo è. Il nostro lavoro principale consiste a raccogliere informazioni vitali per i nostri clienti. Le nostre equipe sono presenti in 30 diversi paesi e sono formate per lavorare su enormi masse di dati digitali, in 27 lingue diverse (solo il 20% delle informazioni che ci interessano sono in inglese o in francese). Ci muoviamo all’interno del deep web e, quando ciò non è sufficiente, anche del dark web. Disponiamo inoltre di software molto potenti in grado di proteggere le nostre ricerche su internet da sguardi indiscreti. Vi è poi la componente umana, quella che io chiamo “Human Intelligence”: bisogna sapere identificare la persona che detiene una certa informazione e, cosa più difficile, convincerla a parlare. Tutto questo, deve restare nel campo della completa legalità. L’Intelligence Economica non è spionaggio e non è hacking. Lo spionaggio sta all’Intelligenza Economica come il doping allo sport ad alti livelli. Allo stesso modo del doping, lo spionaggio permette di accelerare una performance, ma alla fine finisce sempre male.
MEG: Mi ha detto che i vostri clienti principali sono le aziende. Ma che rapporto ha l’Adit con lo Stato?
PC: Lo Stato ha creato l’Adit, ne è il padre. Ciò ha dato un imprinting profondo a questa agenzia, che serve interessi esclusivamente nazionali. Il patriottismo economico è scritto nel nostro DNA. I nostri impiegati sono qui soprattutto perché vogliono servire il loro paese e i suoi interessi strategici. Oggi cominciamo a renderci conto che le frontiere non sono completamente sparite, e l’Intelligenza Economica diventa una forma di impegno patriottico, un modo per avere come modello qualcosa che non sia solo il denaro. Perciò, lo Stato rappresenta il 10% del capitale dell’Adit e la Banca Pubblica di Investimenti copre il 24%, cosicché il blocco pubblico rappresenta in totale il 34% del capitale dell’Adit. Tutto il resto sono fondi di investimento privati. In questo modo, lo Stato ha permesso all’Adit di svilupparsi come un’azienda privata, cosa che ci ha portato ad essere i leader indiscussi nel nostro settore.
MEG: Sempre a questo proposito, può capitare che lo Stato vi assegni dei compiti specifici? In altre parole, lo Stato può diventare un vostro cliente?
PC: Sì, può capitare che lo Stato ci tenga in considerazione in quanto consiglieri.
MEG: Per esempio come nel caso dell’acquisizione della maggioranza dei cantieri STX da parte di Fincantieri?
PC (con la massima naturalezza): Non so di cosa stia parlando
MEG: E tuttavia non più tardi dello scorso luglio La Tribune ha pubblicato uno stralcio del rapporto redatto proprio dall’Adit in merito all’acquisizione…
PC (sempre senza scomporsi): mi proteggo molto, sa, non leggo i giornali
MEG: D’accordo … Poco fa ha affermato che l’Adit agisce anche all’estero. A questo proposito, esiste una convergenza fra l’Intelligenza Economica francese e quella europea? Anzi, possiamo parlare di “Intelligenza Economica Europea” in senso stretto?
PC: Purtroppo no, almeno per il momento. Ci siamo mossi in questa direzione con la creazione di una rete europea che si chiama ESIA (Europea Strategic Intelligence Alliance). Si tratta di un’alleanza di 15 aziende e istituti fra i più competenti in Europa in termini di Intelligenza Economica. Due volte all’anno, ci riuniamo in diverse capitali europee e ci scambiamo informazioni e compiti. Si tratta di un’iniziativa di cui vado fiero, ma penso che si potrebbe andare anche più lontano, formalizzando maggiormente questa alleanza. Sono convinto che abbiamo molto da imparare dai nostri vicini. Penso in particolare al Regno Unito, in cui lo scambio di informazioni tra il settore pubblico e quello privato è molto più sviluppato che in Francia. Nei paesi anglosassoni, c’è un’appetenza particolare per l’Intelligenza Economica che qui ha cominciato a svilupparsi solo recentemente.
MEG: Che posizione assume l’Adit rispetto alla Cina e agli Stati Uniti in termini di Intelligenza Economica? La strategia è collaborativa, offensiva o difensiva?
PC: In Francia c’è spesso molta confusione sul fatto se l’Intelligenza Economica sia più una questione di sicurezza o di competitività. Si dice spesso che sono le due cose insieme. Ora, per quanto riguarda la Cina, la questione si pone senz’altro in termini di sicurezza economica. Dalla Cina bisogna guardarsi. Vi è senz’altro la necessità di mettere in atto dei meccanismi per proteggere le nostre attività nei confronti di questo paese che utilizza spesso sofisticate strategie di attacco informatico. È innegabile che oggi la Cina sta diventato una potenza strategica globale, pur restando vero che esistono ancora settori in cui non è ancora presente, come quello dell’aeronautica. Ora, credo che il solo modo di proteggerci dall’espansionismo cinese sia quello di sviluppare al massimo il nostro potenziale tecnologico. Detto ciò, non mi spingerei fino a parlare di guerra economica. Se fossimo in guerra economica con la Cina, ce ne accorgeremmo, e incrocio le dita perché ciò non avvenga mai. L’attitudine è piuttosto quella della prudenza.
Per quanto riguarda gli Stati Uniti, le cose stanno diversamente. Si tratta del nostro primo partner globale e di un interlocutore storico. Nelle industrie strategiche, coprono il 40% del nostro mercato. Perciò, è necessario cooperare. Non voglio sembrare ingenuo, è ovvio che gli Stati Uniti non si occupano del bene dell’Europa. Ma penso che sia un paese a cui ispirarsi, anche solo sulla base del loro primato in termini di innovazione. Basti pensare che la Francia rappresenta il 3% dei brevetti mondiali, gli Stati Uniti il 50%. Dobbiamo associarci e cooperare.
MEG: Ultima domanda. Quali sono i vostri obiettivi futuri in termini di competitività?
PC: Il primo obiettivo è di impiantarci su tre mercati europei (fra cui quello italiano) nei prossimi cinque anni. Credo che l’Adit debba svilupparsi ancora di più sul settore internazionale. Per essere chiaro e schematico, le dirò che organizzeremo il nostro futuro lavoro sulla base di tre grandi pilastri: Intelligence, Compliance e Advocacy. Del primo, abbiamo già parlato lungamente. Per quanto riguarda il secondo pilastro, la Compliance, essa è un elemento chiave perché impone di conformarsi alle regole dell’Etica, alle esigenze ambientali e a un assoluto rispetto dei Diritti Umani Fondamentali. Non c’è Intelligenza Economica senza Compliance assoluta. Per quanto riguarda l’Advocacy, essa è il soft power o, se vuole, lo smart power. Implica la capacità di imporre la Francia come interlocutore imprescindibile sul mercato internazionale. In questo senso, la cultura giocherà un ruolo fondamentale, così come la lingua, la formazione professionale e il trattamento dell’informazione. L’obiettivo è quello di farci apprezzare sempre di più dai nostri clienti. Tutto ciò, è ancora da inventare. Le parole chiave? Capire chi convincere, e convincere senza corrompere.
Maria Elena Gottarelli
Corrispondente IASSP da Parigi
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03Oct
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