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La guerra economica non è una guerra in senso classico; tale espressione serve a rappresentare in forma estrema i rapporti di forza non militari ma possiamo anche definirla come la competizione fra gli Stati nazionali per il controllo delle risorse rare, necessarie alla loro economia. Tuttavia servono ulteriori precisazioni.
In primo luogo la guerra economica è un fatto tra Stati nazionali. Le imprese giocano un ruolo importante, ma subordinato. Alcune volte rifiutano di essere coinvolte, altre volte si comportano in modo controproducente: delocalizzano, trasferiscono competenze tecnologiche all’estero, vi trasferiscono persino le proprie sedi legali. D’altra parte, la maggioranza delle imprese conta sullo Stato, affinché le aiuti a proteggersi dalla concorrenza sleale, dallo spionaggio economico e da qualsiasi manovra scorretta di competitor commerciali stranieri. Le teorie possono insegnare che lo Stato non deve immischiarsi nella vita delle imprese, ma le imprese danno prova di pragmatismo, rivolgendosi allo Stato per averne protezione.
In secondo luogo la nozione di guerra economica presuppone che gli Stati nazionali mantengano la propria centralità. Agli occhi di alcuni, la globalizzazione abbatte le frontiere e riduce l’importanza della sfera nazionale. Ma d’altra parte essa costringe gli Stati a intervenire fortemente, per lottare contro i suoi effetti perversi – come la crescita dell’ineguaglianza – o per difendere l’economia nazionale esposta alla competizione internazionale.
Si può certamente affermare che le trincee e i fronti siano delineati con minore nettezza che nella guerra condotta attraverso battaglie campali. È più utile quindi paragonare la guerra economica alla guerriglia, in cui le operazioni restano discrete, gli attacchi in massa rari e le armi favorite sono quelle della manipolazione e della demoralizzazione dell’avversario. A ciascuna delle risorse rare, cui noi abbiamo accennato, corrisponde un campo di battaglia: materie prime, tecnologia, capitali, cervelli, mercati sono oggetto di una competizione accanita. Ebbene allo scopo di illustrare quanto detto il lettore ci consente di porre in essere un esempio di guerra economica fra alleati nel contesto delicatissimo dei Big Data.
Allo scopo di contrastare in modo efficace il terrorismo e di gestire una rilevante quantità di dati, la Direzione generale della sicurezza interna francese (DGSI) nel 2016 si era rivolta alla società americana Palantir Technologies, nota società specializzata nella raccolta e analisi dei dati, in grado di sviluppare prodotti ad alta tecnologia per l’antiterrorismo, per la frode, e lo spionaggio. Ebbene la stretta collaborazione tra questa società e l’intelligence civile e militare americana ,unitamente ai considerevoli finanziamenti ricevuti al suo esordio dalla società In-Q-Tel- il braccio tecnologico della Cia –rendono la collaborazione con i servizi di sicurezza francesi oggetto di numerose e legittime perplessità.
Non a caso,considerando anche il contratto di 10 milioni di dollari siglato con la Palantir, Guillaume Poupard, direttore generale dell’ANSI (Agenzia nazionale per la sicurezza di Sistemi informatici nella quale lavorano 350 persone con un budget di 75 milione di euro) ha sottolineato la rischiosità di affidarsi ad un partner americano dal momento che l’azienda non si limita a fornire un CD-ROM per l’installazione del programma ma pone in essere un sistema remoto nel cloud che ,in linea teorica,potrebbe consentire l’accesso a dati sensibili. Partendo da presupposti difficilmente comprensibili all’Italia – come la tutela della sovranità nazionale nel contesto della sicurezza interna ed esterna – il GICAT (Gruppo di industrie della difesa e della sicurezza terrestre e ario-terrestre) ha lavorato in modo sinergico per riunire gli industriali francesi, coinvolti nel contesto della intelligence, e ricercatori universitari allo scopo di dare vita ad un “Cluster Data Intelligence” (http://www.dataintelligencecluster.com/ ) gestito da 23 società francesi (AIRBUS DEFENCE & SPACE, AIR-LYNX, ALEPH-NETWORKS, ATOS, BERTIN IT, CEIS, CRITICAL BUILDING, DEVERYWARE, DIODON DRONE TECHNOLOGY, ECRIN SYSTEMS, ENGIE INEO, FLAMINEM, GEO4I, DCI, JALGOS, LINKLFUENCE, LINKURIOUS, MBDA, OTHELLO, PHOTONIS, SYSTRAN, VOCAPIA RESEARCH).
Ebbene, grazie a questa eccellenza europea – come sottolineato da Emmanuel Tonnelier vicepresidente del Cluster Data Intelligence –- adesso la Francia è in grado di offrire soluzioni ampie che comprendono non solo l’archiviazione dei dati in Cloud sovrani(e sottoliniamo sovrani) ma anche la conservazione del Big Data in sotterranei blindati protetti dai satelliti “alleati”(alludo ai programmi della Nsa noti come Prism e Xkeyscore).
Sarebbe, in ultima analisi, auspicabile che il nostro paese, si affrancasse da vetuste alleanze per incominciare un percorso – certo lungo e arduo – di sovranità nazionale anche nel settore dei Big Data ponendo in essere una lettura delle relazioni internazionali che ponga l’enfasi sul concetto di patriottismo economico (si vedano le riflessioni di Harbulot, Pichot-Duclos, Alain Julliet, Denece, Delbeque etc.) e di guerra economica che si è attuata e si attua, dietro le quinte, anche con i propri alleati.
Giuseppe Gagliano, Saggista e Docente IASSP
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03Oct
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