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Aug
L’ex ambasciatore a Parigi e Washington, Sergio Vento: «Macron tifava per un governo Pd- 5 stelle sperando di controllarlo, adesso ha paura di Salvini. Il nostro Paese può fare da sponda con gli Usa. Consiglio a Conte: non sfidi Donald Trump sull’Iran».
Sergio Vento non è solo un diplomatico di lungo corso (già ambasciatore a Washington, Parigi, Belgrado), ma è un uomo di larga visione geopolitica, mai ingabbiato negli schemi politicamente corretti.
Lei ha sempre preso le distanze da quelli che chiama ironicamente «eurolirici».
«L’Europa è diventata per molti, specie a sinistra, una nuova ideologia. Dopo il crollo dell’impero sovietico, hanno abbracciato l’Ue come un “safe harbour”. L’Ue come ideologia. Poi per alcuni è diventata addirittura idolatria».
Il suo è un approccio realista.
«Ma certo. Non esistono buoni e cattivi. Esiste chi sa gestire i propri interessi e chi no. Nei consessi internazionali occorre starci sapendo che non sono giardini d’infanzia. Illusorio pensare che siano gli altri a fare gli interessi italiani…».
Ma la vera partita è Italia-Germania o Italia-Francia?
«Io sono da sempre convinto che alcuni nostri problemi nascano dal rapporto con i “cugini” francesi. La Bundesbank, in origine, nemmeno voleva l’Euro: Kohl dovette far fuori due governatori per arrivarci. La Germania, tutto sommato, non voleva lasciare il marco: voleva un’area marco con un “serpente monetario” migliorato rispetto agli anni Ottanta. Furono i francesi a insistere».
Come andò?
«Dopo la caduta del Muro, la Francia, più che una riunificazione tedesca, avrebbe preferito una confederazione tra le due Germanie. Ma quando si impose la riunificazione, i francesi, sempre bravi a inventarsi formule, dissero che, per avere “una Germania europea e non un’Europa tedesca”, sarebbe servita un’unione economica e monetaria, inclusa la moneta unica. Ma anche Jacques Delors rimase deluso…».
Cioè?
«Delors mi diceva che avrebbe voluto un’unione anche economica, e quindi bilancio comune, investimenti comuni, anche forme di mutualizzazione del debito. E invece – diceva – mi hanno dato solo l’unione monetaria. Poi Theo Waigel nel 1997 peggiorò tutto con altri vincoli di bilancio e parametri ancora più stringenti: tutte cose giustamente contestate dal professor Giuseppe Guarino».
Torniamo al derby Italia-Francia.
«Certo, sono stati i francesi ad avere fretta di ingabbiarci nell’Euro. Parigi temeva la svalutazione competitiva della lira. Ricordo il mio arrivo a Parigi per dare le credenziali. Jacques Chirac mi ricevette con una grande accoglienza. Poi, come un attore, negli ultimi cinque minuti del colloquio si rabbuiò attaccando la nostra svalutazione competitiva: “Le vostre Fiat stanno invadendo le nostre strade…”».
Ci sono mani francesi sull’Italia oggi?
«Rispondo enumerando fatti. Sul versante privato, Bollorè prima si impadronisce di Mediobanca, poi di Telecom, e poi tenta di attaccare Mediaset. Societé Generale in prospettiva si muove su Unicredit. E poi le mani su Generali. Sul versante istituzionale, pensate all’attacco della signora Nouy alle banche italiane sul tema degli Npl, per indurci a una svendita. Anche un’altra contestazione, pur con elementi di per sé non falsi (le banche italiane hanno troppi titoli del debito pubblico) è sospetta: è come se ci dicessero “dovete svendere”».
Allora è complottismo pensare che alcune reazioni francesi siano il frutto del timore che l’Italia non sia più facile terra di conquista?
«Non si aspettavano il risultato del 4 marzo. E anche dopo il voto, il loro schema preferito era un’intesa M5S-Pd: immaginando che gli inesperti Cinquestelle fossero meglio “guidabili” da un Pd più filoparigino… Lo schema è saltato: e il governo francese teme Salvini, il suo rapporto con la Le Pen, il ricasco sulla politica francese».
Quindi sull’immigrazione si può costruire un rapporto tra Roma, Berlino e Vienna?
«Penso di sì, il ministro bavarese Seehofer può essere un interlocutore. E non dimentichiamo che il problema è esploso per l’errore drammatico della Merkel nel 2015, quando ha sconsideratamente spalancato le frontiere. Lei stessa ha pesantemente pagato la cosa alle ultime elezioni. Errori gravissimi non sono mancati neanche in sede europea: hanno dato tre miliardi a Erdogan per chiudere un rubinetto, ma a noi non li hanno mica dati…».
Che può fare l’Italia al Consiglio europeo di fine mese?
«Le proposte di Macron sono state bocciate sia dal fronte nordico (Paesi scandinavi) sia dalla stessa Germania. Macron, nella cerimonia ad Aquisgrana con la Merkel, ha anche dato una risposta sarcastica sul “feticismo tedesco dei surplus”. Anche perché lui, in Francia, ha un deficit che corre verso il 5%… In ogni caso, noi dovremmo cercare di spingere per una gestione meno ragionieristica, più politica e illuminata, dei vincoli economici».
Come si pone Donald Trump?
«Ah, Trump, pugilisticamente parlando, ha dato alla Francia un diretto alla mascella sull’Iran. La Francia era pronta a mega affari a Teheran: stabilimenti Renault, forniture Airbus, giacimenti di gas Total. I tedeschi, cautamente, hanno capito che non possono sfidare le sanzioni americane sull’Iran. La Francia, invece, nonostante uno schiaffo preso per Bnp e i suoi rapporti con Iran, Sudan e Cuba (9 miliardi e mezzo di dollari di sanzioni) insiste. Ecco, il mio consiglio a Conte è di non sfidare Trump sull’Iran».
Altro consiglio al premier?
«Macron chiederà un allineamento generale europeo contro gli Usa. Noi dobbiamo assolutamente gettare acqua sul fuoco. Anche sulla Russia, la linea di Trump è equilibrata: non ha detto di togliere le sanzioni, ma di riammetterla al G8. È come se Trump avesse detto: alla Russia diciamogliene pure di tutti i colori, ma diciamogliele stando seduti insieme. L’Italia potrebbe fare sponda: il che non investe il tema delle sanzioni».
Come mai l’establishment italiano ha perso contatto con la realtà? Idolatria dell’Ue, criminalizzazione di Brexit e Trump, incomprensione dell’ondata populista.
«È generoso definirlo establishment. Chi per inadeguatezza (la politica), chi per aver venduto molto (tante famiglie imprenditoriali), chi per stare al traino (media), tendono a obbedire ai diktat delle burocrazie bruxellesi e a essere soggetti a scorribande finanziarie internazionali. Mi lasci chiudere con una proposta».
Di che si tratta?
«Di una mia idea sistemica, che ho proposto nel 1995 e poi negli anni Duemila, ma puntualmente ignorata. Costruire un National security council all’americana. Non si tratta di gestire i servizi segreti, per i quali già esistono organismi di indirizzo e controllo. Né, per carità, di costruire un carrozzone. Sarebbe una realtà permanente presso la presidenza del Consiglio, con rappresentanza dei ministeri chiave e di qualificati esperti. Serve una realtà che esamini gli scenari in evoluzione, che predisponga analisi e risposte puntuali e strategiche a tutela della sicurezza politica, industriale e finanziaria dell’Italia».
(Intervista a Sergio Vento tratta da La Verità: https://www.laverita.info/la-francia-teme-unitalia-forte-che-non-sia-piu-terra-di-conquista-2579214077.html)
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03Oct
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