07
Oct

I poveri assoluti in Italia, ossia coloro che non riescono a fare fronte alla spesa di beni e servizi essenziali, sono triplicati negli ultimi 10 anni da 1,6 milioni nel 2007 a 4,7 milioni nel 2017.
La crisi finanziaria internazionale dei mutui subprime nel 2007 che ha coinvolto le economie di tutti i paesi nel mondo, ha contribuito in Italia al crollo del 22% della produzione industriale e del 30% degli investimenti sia privati che pubblici, al calo del 10% dei consumi delle famiglie e del PIL pro capite ed al raddoppio della disoccupazione dal 6% al 12%.
Tuttavia nel resto dell’Europa e soprattutto nei paesi più avanzati il calo dei fattori macroeconomici è stato contenuto in quanto le nazioni anglosassoni, scandinave e mitteleuropee hanno saputo reagire alla crisi economica-finanziaria in virtù di un minor indebitamento pubblico e della presenza di comparti industriali maggiormente dimensionati e solidi.
L’incerto andamento dell’economia italiana in questi anni è determinato dall’instabilità politica che ha causato e causa tuttora un rallentamento delle riforme necessarie quali il programma per portare il debito pubblico a pareggiare il PIL, l’elaborazione di una strategia industriale da parte del Governo (la Germania eccelle nel comparto automobilistico e dell’automazione, la Francia nei brand del lusso e nella grande distribuzione, l´Italia ha industrie di punta nella meccanica, nella moda e nel turismo ma non è supportata dallo Stato come gli altri paesi), la creazione di un approccio sistemico tra industria, banche, amministrazione pubblica e giustizia civile per aumentare la potenza di fuoco del comparto industriale e dei servizi nei mercati, la spinta verso l’aggregazione delle medie-piccole imprese in modo da favorire l’affrancamento dalla prevalente gestione familiare e creare invece bluechips quotate in Borsa.
In presenza di riforme che vengono studiate bene ed attuate in tempi ragionevoli l’economia non può che crescere con tassi del PIL superiori a quelli attuali e trascinarsi dietro incrementi a due cifre dell’occupazione senza andare ad operare su iniziative di sapore elettorale quali i cosiddetti “redditi di inclusione” previsti nel DEF di quest’autunno a sostegno dei poveri che, a ben vedere, rappresentano forme di assistenzialismo ed assecondano atteggiamenti di lassismo nella ricerca di lavoro.
Particolare attenzione va rivolta alla disoccupazione giovanile che ha raggiunto la quota ragguardevole del 35%-40% della gioventù attiva ed ai NEET (giovani non occupati, non istruiti e non impegnati) che rappresentano una popolazione di 2,2 milioni nel 2017.
Per loro e per tutti gli studenti è importante portare da 15 a 18 anni il completamento della scuola d’obbligo, valorizzare e qualificare, in base a criteri oggettivi internazionali, gli istituti tecnici superiori di durata triennale (ITS) e del turismo per arrivare a padroneggiare almeno due lingue straniere, creare cluster tra università, istituti di ricerca ed imprese per dare ai giovani formazione e competenze adeguate alle esigenze del mercato e per incubare e lanciare giovani imprese start up.
Alberto Stuflesser
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