05
Sep
TORINO – Eccoci qui, non fai in tempo a mettere giù il piede da un volo durato qualche ora e “tac!”, subito ti rendi conto di essere rimasta troppo tempo off line e questo “off” in un’epoca come la nostra, che scorre sempre più rapida, veloce e incurante, può anche significare che sta scoppiando una guerra, mentre tu ti guardi un film nei cieli spaparazzata in poltrona, e il film non viene interrotto da una breaking news.
Posto che ciò esemplifica e spiega la mia grande e nota passione per i voli e le lunghe tratte, ahimè, come in tutte cose di questo mondo, arriva sempre il momento di mettere il piede a terra (nel vero senso della parola) e allora ecco che la realtà, nuda e cruda, ti si ripresenta in tutta la sua fierezza.
E trovi anche messaggi di amici giornalisti che ti chiedono (e sarò sempre grata di questo, anche quando mi sottraggo alla richiesta) la tua opinione rispetto a quel tema o quell’altro.
Spesso e volentieri mi astengo, con buona pace di tutti, dal parlare dell’argomento “in voga” (che pure piace tanto a chi vive di social e si butta in ogni discorso purché ci sia audience) ma io, che non ho velleità da influencer, e che di lavoro faccio altro, mi permetto di esprimere il mio pensiero solo su temi che hanno destato in me una qualche riflessione e che, quindi, mi interessano da vicino. Rendendomi poi ben conto che la maggior parte delle volte sono vicende di nicchia, ma tant’è… anzi, meglio.
Stavolta la richiesta di un parere arriva, come avrete capito, su un tema veramente caldo e attuale, che è il probabile imminente scontro Usa/Corea del Nord.
Non è la prima volta che mi si chiede di parlarne ma, salvo sporadiche battute, ho sempre lasciato la parola a chi ritengo che sul tema abbia una competenza tecnica superiore alla mia (ché in un mondo di tuttologi mi sembra personalmente l’unico modo per selezionare le letture); ma poi mi è stato rammentato, che essendomi laureata con lode in diritto internazionale, e avendo prodotto una tesi pluripremiata sul tema de “L’ordine superiore e la responsabilità dell’individuo nei crimini di guerra”, che forse qualche titolo per parlare ce l’ho anche io. E, dunque, eccomi qui.
In vero, tra le molte parole lette e scritte forse uno dei temi che non è stato toccato è proprio quello della responsabilità dell’individuo. E l’individuo siamo tutti noi. Sono io, sei tu che leggi, è tua madre, marito, amico nell’altra stanza, è il lattaio, il banchiere…
Tutti, uti singuli, a prescindere dalla nostra posizione sociale, rispondiamo in proprio come individui. Forse dovremmo ripartire da qui.
In un mondo in cui la diplomazia internazionale si è ormai in gran parte ridotta a un giro di balletti e ricevimenti, dove ambasciatori e responsabili altri impegni e preoccupazioni non hanno che quello di mantenersi un posto.
Una diplomazia dove da troppo tempo di figure della levatura, ad esempio, di un Churchill non si intravede nemmeno l’ombra del sigaro, dovremmo preoccuparci di ripartire dalla responsabilità individuale.
È solo l’individuo che coalizzandosi con altri individui può porre fine a una dittatura. Quanti scritti abbiamo letto in cui si teorizzava che gli ebrei nei campi di concentramento, come potenza numerica, avrebbero potuto mettere fine alla propria prigionia in un batter di ciglio ma poi non lo hanno fatto perché non ne avevano la forza morale, schiacciati come erano dal regime del terrore? E cosa ci ha insegnato tutto ciò? Quegli scritti non erano saggi filosofici o esercizi di stile ma dimostravano a chiare lettere che non vi sia mai rivoluzione più efficace di quella che parte da dentro una nazione. La reazione del popolo per il popolo.
Indubbiamente, però, crescere e vivere sotto a una dittatura e non avere mai conosciuto realtà diversa da quella, rende molto più complicato a tutti anche solo immaginare una vita diversa. Sicuramente pertanto in questo caso è il mondo circostante che deve dare lo sprone affinché ciò accada.
La liberazione di un popolo in prigione davanti a un mondo che osserva in silenzio un popolo soggiogato come gli animali in cattività è un crimine contro l’umanità di cui dovremmo essere tutti chiamati rei in compartecipazione.
Non possiamo stare qui con il naso all’insù ad aspettare che qualche capo di Stato decida se lanciare o meno un missile, una bomba, o se distruggere a mazzate qualche patrimonio dell’umanità ripresi da telecamere che, anziché intervenire, scelgono l’inquadratura migliore.
È fondamentale un risveglio delle coscienze individuali, altrimenti siamo tutti servi addormentanti di tiranni molto poco illuminati. E l’unica fine possibile sarà l’estinzione della nostra sedicente civiltà.
Perché non c’è Patria per la quale valga la pena morire, ma sicuramente per ogni Patria vale il diritto di vivere.
di Lorenza Morello
(fonte articolo: https://cinquewnews.blogspot.it/2017/09/donald-j-trump-kim-jong-un-ambasciatori.html?spref=fb)
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