08
Jun
Sulla richiesta di Riina di tornare a casa, in questi giorni e queste ore, molto si sta dicendo e molto ci sarebbe da dire. Per cultura, indole e professione, tralasciando le opinioni personali, sono solita analizzare gli aspetti legali o giuridicamente rilevanti di ogni vicenda, ed anche in questo caso non posso che leggere questa vicenda sotto questo profilo perché, laddove è vero che “le sentenze non si commentano ma si applicano” è parimenti palese che, anche questa volta, pare si stia dimenticando un principio cardine del nostro ordinamento giuridico, ovvero la “certezza della pena” che fa i conti con una realtà ed una prassi che ha superato il principio. Ma, ahinoi, una realtà che supera un principio cardine della società è inevitabilmente una realtà perversa che avanza senza argini alla libertà.
Lo sdegno e la contrarietà suscitati dalla sua richiesta di tornare a casa per una “morte dignitosa” sono comprensibili e condivisibili non solo da un punto di vista etico e morale ma, per quanto sin qui esposto senza tecnicismi in modo da essere compreso anche dai “non addetti ai lavori”, lo è anche dal punto di vista giuridico.
Quello che bisogna comprendere è che il sistema penale esiste per la sicurezza di tutti i cittadini, ma la sicurezza passa necessariamente per la applicazione della giusta punizione per il reo. E questo bene superiore della tutela della collettività deve essere garantito con la consapevolezza, cari signori Giudici, che una persona condannata a “milioni di anni di carcere”, inevitabilmente invecchierà e morirà in prigione. E verosimilmente prima di morire si ammalerà, come spesso accade a molti esseri umani che muoiono per decorso del tempo e non per un accadimento repentino. Ma questo non può non essere messo in conto e, sopratutto, non può avere influenza sull’applicazione della pena comminata. Siccome, invece, ciò spesso accade ed è utilizzato come espediente dagli avvocati difensori per chiedere la scarcerazione dell’assistito, ciò che dobbiamo pretendere, a livello sociale, è di avere strutture carcerarie pronte ad assistere i detenuti condannati e malati con adeguate cure laddove necessarie, perché certamente uno stato civile non può confondere la pena con la vendetta. Ma non è nemmeno accettabile sentirsi tacciare di disumanità se si pretende che una pena sia scontata nella sua interezza (che oltre a ciò molto ci sarebbe da dire anche sulle attenuanti relative alla buona condotta, ma lo faremo semmai in altra occasione).
Insomma, può ben restare in galera per sempre, Riina. Curato, com’è suo diritto, ma dietro alle sbarre. Che il perdono e la pietà sono aspetti intimi che spettano, semmai lo ritengano, ai parenti delle vittime nella propria intimità. A noi spetta invece garantire l’applicazione delle condanne che, se vi fosse, sarebbe garanzia di legalità e ridarebbe fiducia nello Stato di diritto.
Lorenza Morello
Giurista d’impresa, socia e membro del comitato direttivo IASSP
Giurista d’impresa, socia e membro del comitato direttivo IASSP
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