18
May
INTRODUZIONE
L’Europa, persistente e immaginaria, oggi si volge al pragmatismo, a sospetti e a pretese molto pratiche. Sepolto con la Grecia contemporanea anche il logos della classicità (fu Esiodo che per primo nominò l’Europa all’interno della sua Teogonia).
L’IDEA STORICA DI EUROPA
Fra i filosofi e i pensatori moderni che si sono lasciati ispirare dall’idea di Europa ve n’è uno in particolare, Immanuel Kant, il quale ha lasciato un contributo notevole alla posterità che noi rappresentiamo. Il suo trattato Per la Pace Perpetua (1795), certamente avveniristico per il tempo – e difatti caduto pressoché nell’oblio per anni – può fornirci oggi categorie alternative utili a riattivare un discorso da troppo tempo arenato sulle spiagge delle politiche partigiane.
In primo luogo il trattato mette in luce l’abisso che separa il progetto di Europa immaginato da Kant (e successivamente ripreso da Hugo, Cattaneo e Bakunin) e l’Europa reale propostaci e impostaci con il trattato di Maastricht del 1993. In secondo luogo esso ci aiuta a sfatare alcuni miti tipici della ben-pensanza contemporanea, primo fra tutti quello per cui il termine “interesse nazionale” abbia una connotazione necessariamente negativa, o che sia inevitabilmente da contrapporsi alla così detta “politica europea comunitaria”.
INDIVIDUALITA’ DEGLI STATI MEMBRI
Il Trattato sulla Pace Perpetua, per quanto seriamente impegnato nel suo contenuto, nella forma costituisce una parodia scanzonata dei reali trattati internazionali, strutturati in articoli provvisori, articoli definitivi, postille, appendici e articoli segreti. Poiché un’analisi approfondita dell’opuscolo ci farebbe evadere dal tema dell’articolo, mi limiterò a evidenziare le parti che illuminano maggiormente il confronto fra l’Europa utopica di Kant e l’Europa reale di Maastricht. Ecco un primo punto: nel secondo articolo definitivo del trattato Kant postula:
“Il diritto internazionale deve essere fondato sopra una Federazione di Stati Esteri”.
Nella logica di Kant, gli Stati, proprio come gli individui, decidono liberamente di associarsi in una federazione non tanto per un innato spirito filantropico (ché la natura umana coglie con ritrosia) ma per salvaguardare la propria sicurezza e autonomia. Il patto repubblicano stabilisce che l’individuo, liberamente accettando la libertà del proprio vicino, salvaguarda così facendo anche la propria. A nessun lettore potrebbe sfuggire l’importanza attribuita da Kant alla Libertà, che egli definisce in senso civile come “libertà di sottomettersi ad una coazione da se stessi determinata”. Meno scontata in queste pagine è invece la predilezione di Kant per il concetto di Individuo: ogni Stato, come insieme di individui, forma un individuo esso stesso; e poiché gli Stati, come gli esseri umani, tendono ad auto-distruggersi fra loro, è necessaria una Costituzione di Popoli che garantisca ad ognuno il proprio diritto. L’Unione Federale (Europa) non nasce quindi né ha valore come in sé ma solo in quanto serve agli Stati come tutela della loro libertà. Per questo Kant dice che tale Unione deve costituirsi come una Lega di Popoli e non come un “Super-Stato”, poiché in quel caso il “Super-Stato” prevarrebbe sulle singole nazioni, laddove la premessa era di far valere i diritti delle nazioni le une rispetto alle altre. Questo ragionamento implica una concezione di interesse nazionale che sfugge completamente alle categorie contemporanee. Qui infatti l’interesse nazionale dei popoli, ben lungi dall’avere quella connotazione fascistoide e razzista che oggi si cerca ostinatamente di attribuirle, è anzi il motore ultimo che spinge gli Stati ad unirsi in un’associazione che li trascende. In questo modo appare subito chiaro come l’opposizione tipica fra interesse nazionale da una parte ed europeismo dall’altra sia di fatto artificiale (ci voleva Kant!).
L’EUROPA REALE
Ciò vale naturalmente per l’Europa di Kant, la quale è, a tutti gli effetti, un’utopia. Al contrario la Storia dimostra come l’uomo assomigli molto più al Principe di Macchiavelli che al Politico Morale del Trattato del 1795. Dobbiamo tuttavia lasciare alle utopie il loro valore di utilità, nel promuovere il miglioramento di una realtà che resta sempre, in una certa misura, drammaticamente imperfetta. Se nell’Europa kantiana il circolo interesse nazionale/interesse comunitario funziona grazie al motore della morale, nell’Europa reale in cui la morale è annichilita dal capitalismo finanziario imperante, tale circolo è inevitabilmente compromesso. Abbiamo così, da una parte, i sostenitori accaniti dell’Europa, fra i quali vi è anche chi ingenuamente crede che essa rappresenti in qualche modo il sogno comunitario di Hugo e Cattaneo, senza rendersi conto che essa ne è invece l’esatta negazione. Dall’altra parte poi vi sono coloro che riconoscono con più chiarezza il declino sociale e morale in cui versa l’Europa e che, nel loro adirarsene, distorcono senza volerlo il significato di “interesse nazionale”, ad esempio con proposte economiche follemente protezionistiche o sostenendo politiche anti-immigratorie. Ci troviamo così di fronte alla necessaria sclerotizzazione di due polarità (nazionalismo ed europeismo) che funzionano solo se armonizzate fra loro.
UN’UNIONE FONDATA SUL DEBITO E SULLA FISCALITA’: “DIVIDE ET IMPERA”
E’ lecito quindi domandarsi l’origine di tale sclerotizzazione. Nell’articolo provvisorio n.4 Kant postula:
“Uno Stato non deve contrar debiti per valersene in intrighi all’estero”.
Una pace basata su un sistema di debito imposto da uno Stato a un altro (o, se si vuole, da un Super-Stato a uno Stato) non è infatti altro che il preludio ad una guerra, poiché il debito prima o poi conduce all’inflazione.
“Ma, quale mezzo di azione reciproca delle potenze fra loro, un sistema di credito che moltiplica i debiti all’infinito, garantendoli da una richiesta immediata, […] ingegnosa invenzione fatta in questo secolo da un popolo commerciante, un tal sistema dà una potenza finanziaria pericolosa, un tesoro per guerreggiare che supera quello di tutti gli altri Stati […]”.
La malattia che affligge l’Europa contemporanea è la cattiva gestione economica e fiscale, che divide al proprio interno non soltanto l’Europa, ma anche i suoi Stati membri, i quali perdono di forza, di coesione e soprattutto di credibilità (si prenda come esempio emblematico l’Olanda, divisa fra una capitale ufficiale, Amsterdam, e una ufficiosa e politica, l’Aia, sede del parlamento e di numerose sedi governative e fiscali europee).
Viviamo in un’Europa al tempo stesso tenuta insieme e divisa dal denaro, secondo una logica perversa che rovescia la Forza della Giustizia trasformandola in Giustizia della Forza, cosicché diventa quasi normale che all’interno di un’Unione libera di Stati ve ne siano alcuni (un paio) che dettano le leggi economiche del potere, mentre tutti gli altri possono soltanto scegliere fra lo stare al passo o affondare (come è capitato alla Grecia nel 2012). È chiaro che la mal gestione economica dell’Unione Europea costituisce una delle principali cause (se non la principale) del declino morale e sociale in cui versa, un declino ormai reso evidente dalla decisione popolare della Gran Bretagna di lasciare il tavolo di Bruxelles.
CONCLUSIONE: CONDIZIONI TRASCENDENTALI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE E IL RUOLO DELLA MORALE
Nessun libro (eccezion fatta per quelli sacri, per chi ci crede) offre ricette per la salvezza, e il trattato del 1795 di Kant non fa eccezione. Tuttavia, attraverso l’analisi delle principali categorie che propone, può dare nuovo respiro al dibattito fra europeisti, euroscettici e antieuropeisti. Invece che parlare sempre e solo di Europa, Kant mostra come sia possibile affrontare il problema “dall’interno” attraverso una rielaborazione del concetto di interesse nazionale che consenta di liberarlo dalla patina di razzismo che gli è stata indebitamente attribuita. L’Europa infatti, nella prospettiva del filosofo, non è che il frutto dell’associazione libera e repubblicana dei singoli Stati, ossia di diversi interessi nazionali, nata quindi al solo scopo di servire gli individui, piuttosto che di renderli servi. D’altra parte, l’Europa non deve essere asservita all’interesse egoistico di un singolo Stato al fine di prevalere su un altro. Questa nobile reciprocità, che appare così chimerica al lettore contemporaneo, è garantita dalla massima trascendentale:
“Tutte le azioni relative al diritto altrui, le cui massime non siano universalmente valide e applicabili, sono ingiuste” (Seconda appendice).
Si evince, in conclusione, che l’unica base possibile (e quindi trascendentale) di un’unione pacifica e civile fra gli Stati è l’Etica. Sull’attuabilità o meno di tale principio alla realtà attuale, si potrebbe dedicare una riflessione a parte.
Di Maria Elena Gottarelli
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03Oct
Recensione interessante ma che condivido solo in parte. C'è infatti una contraddizione secondo me in questo discorso, in quanto si fa riferimento all'Europa kantiana, ossia se ho ben capito, un'Unione di Stati sovrani che, nell'interesse nazionale, decidono spontaneamente di associarsi in una federazione, e quella attuale di Bruxelles che invece "si impone" in rapporti di credito-debito limitando la sovranità degli Stati nazionali.
Ma la mia domanda è: non sono stati forse gli Stati membri dell'UE a decidere spontaneamente di cooperare "kantianamente" in certe materie? Infatti, non ha imposto nessuno all'Italia di aderire alla CECA inizialmente (e neanche alla Croazia di recente) e il Parlamento italiano, espressione della sovranità popolare, ha sempre ratificato con grande celerità i trattati di revisione dell'Unione. Inoltre i partiti anti-europeisti iniziano solo ora a raccogliere un certo consenso nel nostro Paese ma nella nostra storia recente i partiti euroscettici non hanno mai avuto grande successo, segno forse che il popolo italiano non aveva mai preso seriamente in considerazione l'idea di uscire dal progetto d'integrazione europea.
La suddetta contraddizione è quindi evidente: come sarebbe possibile una vera "cooperazione" fra Stati sovrani che non ammettesse alcuna "limitazione di sovranità" degli Stati medesimi? E' chiaro che se degli Stati vogliono davvero cooperare e prendere decisioni comuni per risolvere problemi comuni devono necessariamente cedere quote della loro sovranità ad entità sovranazionali in materie ben determinate.
Infine, in Italia assistiamo sempre più spesso da parte dei nostri politici ad un processo in base al quale si "nazionalizzano" i successi e si "europeizzano" i problemi, ciò con grande sostegno dei media italiani, che di Unione capiscono poco e nulla. Questo è avvalorato dal fatto che l'Europa manifesta problemi soprattutto in quelle materie in cui gli Stati hanno ancora piena competenza esclusiva: migrazione e tutela dei confini, politiche sociali, politiche fiscali. Questi problemi sono dovuti quindi proprio agli egoismi degli Stati nazionali che per fare appunto "l'interesse nazionale" si tengono strette certe competenze, dando vita a disparità che non consentono di intervenire in maniera sinergica, fissando standard di protezione per tutta l'Unione.