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Apr
IASSP
Spring School 2017
Heisenhower, capo delle Forze Alleate in Europa, definì il golpe contro Mussolini, ordito dal Re e dal Gran Consiglio del Fascismo quasi al completo, in codice P43, “lo sporco affare italiano”.
Roosevelt e Churchill si incontrano per discutere dell’Italia, dopo, nella Conferenza di Québec del 14-18 Agosto 1943, programmarono dopo la conquista della Sicilia uno sbarco in Calabria e l’altro nell’area di Napoli. Il tutto per spingere i tedeschi nell’Italia del Nord.
Idea idiota: al Nord c’erano già quelli della RSI, i tedeschi sarebbero stati vicini ai loro confini, ancora inviolati, avrebbero poi avuto la possibilità di resistere oltre le linee.
Le truppe a disposizione erano però poche, poiché entrambi i maggiori alleati, USA e Gran Bretagna, avevano spedito il grosso delle loro truppe per l’Operazione Overlord, lo sbarco in Normandia.
Se non ci fosse stata la collaborazione fattiva delle forze italiane del Re e della scarsa resistenza che si stava formando al centro, l’obiettivo dei due sbarchi era quindi impossibile da raggiungere.
Ecco che cade, di fatto, la linea della “resa incondizionata” precedentemente teorizzata da USA e Inghilterra.
Il quadro strategico è quindi chiaro: il primato va all’operazione nel Nord della Francia, e le operazioni militari in Italia divengono, come le ha definite uno storico, allora membro dei Servizi USA, una “campagna inutile”.
Il nesso tra campagna italiana e operazioni in Francia è evidente anche nel futuro postbellico: la Francia, pure dopo Vichy e il collaborazionismo di massa con le forze di Hitler, sarà dichiarata Paese Vincitore, e le forze di De Gaulle, France Libre, entreranno a Parigi per prime, proprio nei giorni in cui gli americani entrano a Roma, avendo creato ingorghi apposta per rallentare le truppe britanniche.
Nulla si comprende della guerra in Italia se non si mette in conto la diversa posizione politica e strategica dei due alleati occidentali, USA e Gran Bretagna.
Lo sbarco nel sud, che non avverrà mai, è lo specchietto per le allodole con cui gli Alleati fanno firmare il Gen. Castellano a Cassibile, che punta ad con lo Stato Maggiore del Re ad una rapida utilizzazione delle Forze Armate nazionali, riunite in buona parte dal Regno del Sud.
Ed è bene ricordare che l’Esercito del Re, a parte qualche Reparto di élite come la X MAS che va al Nord, è ancora una buona forza difensiva.
Nota di colore, ma non poi tanto, il Gen. Castellano viene accompagnato nel paesello siciliano di Cassibile da un giovane tenente, Vito Guarrasi, che poi sarà il grande avvocato dei misteri siciliani, membro del consiglio di amministrazione dell’ENI e uomo al centro di tutti gli affari di Sicilia. Buoni e cattivi.
Anche la promessa di inviare nei pressi di Roma due divisioni aviotrasportate cade lentamente nel vuoto.
Le richieste degli italiani, per USA e Gran Bretagna, valgono zero, anche perché gli italiani non sanno ancora che tutto si decide sulle spiagge della Normandia, che attraggono quasi tutte le forze disponibili.
In Italia rimane poco, e quel poco non vuole coinvolgere il Re, il suo Esercito, i partiti rinati.
Gli inglesi e gli USA, soprattutto, vogliono l’Italia solo come area “viable” per le altre loro relazioni in Europa, si prendono la parte per loro pericolosa delle nostre FF.AA. ovvero la Marina Militare; e lasciano il resto come manovalanza per le azioni più pericolose: a Montelungo, per esempio, e nella inutile e stupida battaglia di Monte Cassino.
Nient’altro era richiesto, dal punto di vista strategico, all’Italia liberata dai tedeschi e dal fascismo della RSI.
Intanto, la Gran Bretagna arrivava al Nord seguendo la linea adriatica, e c’è un perché: Churchill ha già elaborato, anche con l’accordo vago degli USA, il Piano Unthinkable, “impensabile”: far scattare l’attacco, immediatamente e con i trattati di Pace europei già conclusi, contro l’Unione Sovietica.
Era questa la ragione della preferenza britannica per l’attacco alla Germania dai Balcani, che inutilmente Churchill vuole scegliere al posto di Overlord.
Se Sir Winston avesse avuto l’appoggio degli americani, non avremmo avuto il Patto di Varsavia, e la Russia sarebbe stata “regionalizzata” ben prima della caduta del Muro di Berlino.
Overlord è una operazione che rivaluta strategicamente la Francia, che però il leader britannico non vuole più tra i piedi, e ancor meno vuole tra le scatole l’Italia, che fondamentalmente disprezza, come gran parte dei suoi ufficiali.
Non si contano poi i conflitti personali tra Alleati e ufficiali del Regio Esercito; trattati peggio che camerieri.
Gli italiani si accorgeranno presto che le operazioni militari non si fanno per amicizia o stima, sempre irrilevanti, ma per obiettivi strategici di lunga gittata: gli inglesi si prendono l’Italia per eliminare la sua pericolosa flotta, che blocca il Mediterraneo, per creare poi un antemurale verso i Balcani, già sotto il controllo di Stalin che ha dilagato e è arrivato a Berlino senza i rallentamenti degli Occidentali, per infine avere un alleato a basso costo che contenga il Nordafrica, ma senza la nostra ottima Marina da Guerra.
Anche la Resistenza al Centro-Nord è un’azione più politica che strategica.
All’inizio i resistenti del Nord sono meno di tremila, quasi tutti ufficiali e soldati del Regio Esercito che non credono più al Re, alleato di Mussolini, né tantomeno al Fascismo, che ha perso la guerra.
Arriveranno presto gli uomini del PCd’I, spesso addestrati in Russia, poi le forze di tutti gli altri Partiti ma, alla fine, compresi i resistenti della venticinquesima ora, la Resistenza italiana conterà meno della metà dei coscritti che sono “andati a Salò” a “cercar la bella morte”.
Altro indizio strategico per il futuro: la Resistenza come cavallo di Troia quindi del PCd’I, che la utilizzerà per legittimarsi come forza determinante sia a Salerno, dove Togliatti chiuderà la questione dell’epurazione antifascista con l’amnistia, sia in futuro, chiedendo agli altri partiti un “patto per la democrazia progressiva”, aperto perfino ai liberali, che sarà l’asse della penetrazione del PCI sia nell’elettorato che nella classe dirigente italiana.
È questo l’antefatto del “compromesso storico” di Berlinguer.
Un progetto questo ordinato da Stalin a Togliatti, che lui chiama “il professorino italiano”.
Stalin non vuole una Italia come la Grecia, con la guerriglia comunista attiva fino al 1949, ma una lenta penetrazione del Partito negli apparati dello Stato e nelle masse, con la relativa eliminazione, senza troppi complimenti, dell’ala che vuole portare la Resistenza fino alla Rivoluzione rossa.
Ma rimarrà nel PCI il forte legame con l’URSS, che conferisce al PCI addestramento dei quadri illegali e circa sei-sette milioni di Usd l’anno di finanziamento coperto, tramite una banca svizzera.
E il PCI poi parteciperà, tranquillamente, su sua stessa richiesta, a tutte le operazioni di finanziamento dei partiti off the shelf, fino allo scoppio della c.d. “Tangentopoli”.
È il Ministro Prunas, poi, che incontra, negli anni di Salerno, da vero ministro-ombra degli Esteri, il ministro degli esteri sovietico Vishinsky, il famoso accusatore nei processi-farsa delle purghe staliniane.
Prunas vuole “un contatto diretto con l’URSS” che manca ancora al governo del Re.
I dirigenti del Regno del Sud sanno benissimo che non devono farsi chiudere tutte le porte dagli Alleati occidentali, e cercano uno spiraglio proprio con Stalin, senza la mediazione di Togliatti.
Ecco un altro tassello del “sistema Italia” che viene messo a posto.
Un Paese che si gestirà quindi una sua autonoma area di influenza in ambito NATO con una sua specifica sponda nell’Est, che verrà utilizzata come minaccia ma anche come canale preferenziale per gli Alleati anglosassoni.
E, nella decadenza, che ancora oggi continua, della piccola classe politica che emerge dopo la Liberazione, soprattutto al sud, vi è un altro tratto, che durerà almeno fino al Pontificato di Paolo VI: il Papa, il predecessore di Papa Montini, Pio XII, ha trattato direttamente la “condizione dell’Italia” con Myron Taylor, un uomo d’affari presbiteriano che sarà un importante “special envoy” di Truman presso la Santa Sede.
Altro tratto costante: il ruolo di garanzia politica e metapolitica del Papato nei confronti della classe politica. Fino a Giovanni Paolo II, il cui unico fine politico è quello della liberazione della Polonia e dell’Europa Orientale, conquistata dall’URSS grazie alla lentezza delle forze alleate occidentali verso l’obiettivo tedesco.
E ancora, la costituzione della Democrazia Cristiana, che si propone prima e meglio delle altre classi dirigenti partitiche con il “Codice di Camaldoli”, del 1943, redatto poco prima della caduta del regime fascista, elaborato peraltro dai migliori intellettuali cattolici, da Fanfani a La Pira fino a Vanoni e Saraceno, uomini del welfare cristiano e della “diga” contro il PCI, a patto di accettare il diktat di Togliatti: “fuori i pagliacci” ovvero i partiti intermedi.
La Costituzione Repubblicana, altro tratto attuale, è stata creata per inibire una delle due parti a prendersi tutto il potere, spartendolo in due aree di quasi eguale dimensione che si bloccano e intermediano tra di loro le grandi e piccole scelte politiche.
La politica estera, ecco quindi il vero problema nascosto della politica interna italiana.
Infatti, è dalla politica estera che deriva, da un lato, l’accordo con gli USA, più ancora che con gli altri partner della NATO, e dall’altro l’approvvigionamento delle materie prime per l’industria e i consumatori di energia italiani.
Dal Canale di Suez, ebbe a dire Nenni nel 1968, da ministro degli Esteri, passa l’85% dell’energia che ci occorre.
Ed eravamo, allora, la prima manifattura d’Europa.
Prima, anche i governi detti “centristi” avevano favorito l’espansione dell’ENI in Medio Oriente, addirittura permettendo che l’Ente che, come tanti altri, venga ricostruito a partire dalla sua fondazione fascista, e magari aiutando anche l’FLN algerino dando armi e finanziamenti, con aerei ENI che arrivavano nel mezzo del deserto.
Abbiamo aiutato, proprio grazie al centrismo atlantico, lo stesso Arafat, pur essendo il nostro un Paese particolarmente filoisraeliano, perché questo ci veniva richiesto dai nostri partners petroliferi di quell’area.
Un magistrale equilibrismo, che nasce dal fatto che noi siamo importanti, per USA e Gran Bretagna, solo in quanto ridotta copertura ad Est, dopo che la Yugoslavia di Tito ha abbandonato il Patto di Varsavia e sopravvive, con il suo “socialismo autogestionario”, solo con i soldi del contribuente americano.
Per il resto, mani libere, a patto di saperle usare.
Abbiamo aperto i commerci, sempre con l’ENI, anche verso l’URSS, grande paese petrolifero, con gran dispetto dei nostri amici della NATO.
Ma eravamo noi, allora, a stabilizzare il Mediterraneo.
Aldo Moro, il vero padrino dei nostri Servizi, e un uomo che di intelligence capiva tutto, fece il “Lodo Moro” con i terroristi palestinesi, che ci ha garantito l’estraneità dell’Italia ad i loro attentati; e proprio oggi l’attuale commissione di inchiesta, presieduta da Fioroni, rende conto dello straordinario ruolo che, durante il rapimento di Aldo Moro, ebbero i nostri rapporti speciali con Yasser Arafat e gli altri capi del terrorismo palestinese.
Ecco la formula della Prima Repubblica: liberamente i nostri interessi geopolitici nel Mediterraneo, la nostra area naturale di influenza, ma senza far arrabbiare troppo i nostri amici della NATO e, soprattutto, Israele, con il quale avevamo e abbiamo un particolare rapporto.
Poi arriverà la cosiddetta “Seconda Repubblica”, con le liberalizzazioni che servono anche a pagare “una tantum” i Partiti, mentre entrano capitali stranieri e avversi nelle nostre imprese strategiche.
Bettino Craxi autorizzò, prima della caduta della Prima Repubblica, uno straordinario capo del SISMI, l’amm. Fulvio Martini, a sostenere con le nostre forze la successione del potere tunisino nelle more della follia, come un re Lear magrebino, di Habib Burghiba, e siamo riusciti a mettere al potere Zine el Abidine Ben Ali, che solo la mal pensata operazione americana delle “primavere arabe” è riuscita a mandare a casa.
Quindi, la Prima Repubblica pensa al Mediterraneo, soprattutto, per raccogliere capitali da investimento, che scarseggiano già allora (il deficit della bilancia dei pagamenti aveva raggiunto già nel 1963 i 1252 milioni di Usd) ma in ogni azione mediorientale la presenza dell’Italia è esplicitamente negata dai nostri alleati. Sarà così nella guerra del 1956 nel Sinai, in quella dei Sei Giorni, perfino in quella del Kippur del 1973.
Ma si apriranno anche varchi segreti, mentre il terrorismo in Italia, spesso eterodiretto, destabilizza l’intero assetto sociale.
Sia con l’URSS, che continuerà a dare petrolio a noi, nelle regole stabilite con Mattei all’ENI, che con gli altri Paesi, Israele compreso, che non ci negheranno mai un aiuto nella stabilizzazione interna ed esterna.
La “seconda Repubblica” abolirà questi nessi, navigando in una UE dove il nostro apporto sarà sempre più marginale.
Questo grande gioco mediterraneo che la Prima Repubblica gioca, in tenui equilibri ma sempre in modo efficace e attento, mentre in Italia fervono riforme che oggi non sono nemmeno immaginabili, correlate ai picchi alti del terrorismo interno.
Quando crolla il Muro, crolla anche questa geopolitica italiana, e la caduta dell’Est riguarda anche noi, come ebbe a prevedere Francesco Cossiga.
È il PCI che, finita la “mamma”, come la chiamavano in gergo, si volge a realizzare quello che Augusto del Noce aveva perfettamente previsto, e diventa un “partito radicale di massa”.
Diventa, anche per l’ingenuità dei suoi nuovi comprimari, l’asse del nuovo “partito americano” in Italia, cessati, grazie all’operazione detta “mani pulite”, i referenti storici degli USA.
Vorrei far notare che oggi, in Brasile come in altri Paesi intermedi, le aziende petrolifere nazionali vengono distrutte o smembrate grazie ad operazioni assolutamente simili a quelle degli anni ’90 in Italia.
L’ Italia, Paese dall’energia potenzialmente autonoma, diviene una nazione in cui, con l’operazione in Libia, viene perfino tentato l’assalto all’ENI, per creare le condizioni della svendita ai suoi concorrenti internazionali.
Presa l’ENI, preso tutto, l’Italia non avrebbe più una geopolitica autonoma, tra USA, NATO, amicizie nell’Est, nel mondo arabo e in quello israeliano.
Sarebbe una Italia dei campanili, dei mandolini, del buon cibo.
E l’Italia, fra l’altro, perde anche Gheddafi, il folle colonnello che era una pedina essenziale nel gioco geopolitico mediterraneo del nostro Paese.
Oggi? La politica estera italiana si distingue per una pedissequa ripetizione delle formule dell’universo anglosassone: “diritti umani”, “democrazia”, “rappresentanza di tutti”, etc. tutte parole che servono solo a destabilizzare il Medio Oriente per aiutare i sunniti, reprimere gli sciiti, rendere i Paesi arabo-islamici “viabili” per operazioni contro la Federazione Russa e, in seguito, contro la Cina.
Noi, in questo nuovo “grande gioco” non entreremo nemmeno per vedere cosa succede.
Marco Giaconi
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