07
Nov
I tempi della Storia e le condizioni che determinano i processi geopolitici sono terribilmente rapidi, specie da quando i suoi attori sono totalmente svincolati da logiche di blocco o di sistema.
La geopolitica si è rimessa a correre e le condizioni di nuova centralità internazionale del subcontinente americano, di coesione e integrazione, si sono man mano, prima ridimensionate, poi affievolite, fino a spengersi.
In così poco tempo la stella politica di Ignacìo Lula da Silva, mentore e riferimento di qualsiasi proposta politica (da Sinistra a Destra) in America latina è stata triturata e logorata in un processo mediatico che ha riportato il Brasile da potenza regionale e player mondiale alla sua storica e cronica instabilità.
Chiusa la partita in Venezuela del dopo Chavéz, paese sull’orlo della banca rotta e della guerra civile, in Argentina, dove l’elezione di Macri ha riposizionato il paese nella logica di aiuti e sostegno dalle agenzie mondiali di credito e tralasciando Correa (Equador) e Evo Morale (Bolivia), la cui forza (per dimensioni e risorse) può essere solo complementare, mai autonoma.
Del “Rinascimento Latino americano” non è rimasto nulla, si è chiusa una partita, nel bene o nel male questo Sud America è altro, è altra cosa e in questa ottica e in queste condizioni deve leggersi in voto in Colombia sul plebiscito sulla pace.
L’accordo siglato ufficialmente all’Avana (Cuba) il 24 agosto scorso, dopo quasi quattro anni di negoziati, aveva avuto la sua simbolica rappresentazione in Cartagena lo scorso 26 settembre, nella firma congiunta con il “baligrafo”, una pallottola trasformata in penna, tra il Presidente colombiano Juan Mauel Santos e il comandante delle Farc Rodrigo Londoño Echeverri, nome di battaglia Timochenko.
Il Referendum (Plebiscito por la Paz) voluto da Santos doveva ratificare lo storico accordo ma, nostostante tutti i sondaggi favorevoli, ha visto la vittoria del NO.
Dei quasi 35 milioni di elettori hanno votato solo 13 milioni. Il 50,21% ha detto No, il 49,79% invece ha sostenuto il Sì. Meno di 54 mila voti di differenza tra i due schieramenti, ma circa il 60% degli aventi diritto ha scelto l’astensionismo.
Santos poteva ratificare lo storico accordo attraverso l’elezione di un’Assemblea Costituente e le stesse Farc, con Timoleon Jimenez, capo delle operazioni militari, avevano sostenuto tale opzione, intuendo la vulnerabilità di una società lacerata bisognosa di tutori di resilienza.
Santos ha commesso un grave errore politico nel decidere di indire un referendum su un tema così delicato di riconciliazione nazionale.
Le parti si sono confrontate sin da subito con autorevolezza e reciproca legittimazione, mostrandosi al paese tutto come soggetti responsabili dei drammi del conflitto, delle rivendicazioni storiche e delle rispettive manipolazioni.
Un negoziato serio, articolato e con un grande sostegno internazionale: l’impegno personale di Papa Francesco; il sostegno dell’UE che dopo l’ accordo di libero scambio del 2012, ha nel 2015 eliminato il visto di ingresso nella area Scenghen e provveduto a cancellare le Farc dalla lista delle organizzazioni terroristiche; il sostegno di Ban Ki-Moon che aveva partecipato attivamente alla cerimonia del 26 settembre, assicurando la più alta attenzione alla questione da parte dell’UNO, ufficializzata tramite la risoluzione 2307 del Consiglio di Sicurezza: il disarmo della guerriglia di matrice socialista da parte dell’Organizzazione con sede a New York sarebbe dovuto essere monitorato e guidato con molta accuratezza direttamente dall’Organizzazione delle Nazioni Unite.
La coeva presenza degli attori, garanti e tutori di resilienza, doveva proteggere l’accordo in una nuova ottica modernizzatrice e di crescenti opportunità, attraverso la camera di compensazione di un’Assemblea costituente per la ratifica.
Santos che era stato rieletto nel 2014 con la promessa di un accordo pacifico con la guerriglia, ha prestato il fianco due volte: ha peccato di “narcisismo”, chiedendo da caudillo il bagno di folla, la vittoria popolare, tentazione politicamente irresponsabile e cosa, ancora più grave, dando la possibilità ai maestri della paura, nazionali e internazionali, ai consumatori della “guerra permanente” di rientrare in gioco con tutto il vecchio armamentario a disposizione.
Un articolo premonitore datato 1 ottobre 2016 sul El Pais, firmato da John Carli, giornalista e saggista inglese dal titolo “Lo mejor y lo peor de la humanidad”, recitava testualmente “en Colombia convive gente de inusual nobleza e inteligencia con cinicos y manipuladores como Alvaro Uribe”.
L’articolo de El Pais, ovviamente di parte pro Si, è la fedele rappresentazione del clima di rancore con cui la società è andata al voto e la rilegittimazione politica dell’ex presidente Uribe che ha saputo e potuto riorganizzare la ultra-destra conservatrice su una piattaforma antigovernativa e neoisolazionista.
Ben presto l’impegno per una soluzione pacifica del conflitto, dalla speranza per un nuovo corso di riconciliazione nazionale e di integrazione internazionale è scivolato sul piano liscio della indignaciòn, della lacerazione nel rancore e nella pausa.
Errore strategico grave quello di Santos che da tutore di resilienza aveva il dovere di proteggere l’accordo, tenendo insieme prospettiva e società in un nuovo corso e soprattutto, il non aver intuito che nella discussione popolare Alvaro Uribre, desiderioso di rivincita, sarebbe divenuto il terminale di tutti gli interessi della “normalizzazione”, dei rapporti fidelistici d’impresa continentali e delle posizioni di privilegio in un paese bloccato.
La campagna per il No ha goduto di un’immensa disponibilità finanziaria, circa 1.300 milioni di dollari, tra i pù impegnati il Gruppo Ardila Lulle che controlla RCN TV, il Gruppo Bolivar, leader nel ramo assicurativo e risparmio, il Gruppo Uribe, fachion marketing, e la Colombiana de Comercio, la più grande impresa di import-export del paese.
Possiamo fare tutte le analisi sociologiche su un Paese che non è riuscito a sotenere l’urto di una propaganda “sucia”, una propaganda che ha parlato al ventre molle di una comunità tormentata da decenni di violenze, manomissioni e vendette, ma non possiamo sottrarre l’attenzione al potente blocco sociale ed economico, nazionale e internazionale, che ha brigato per bloccare e normalizzare il nuovo corso.
Il blocco del No risponde a logiche di conservazione e autotutela nel controllo delle immense risorse energetiche (petrolio e carbone), minerarie (oro), degli investimenti sulle infrastrutture e sulla sicurezza con enormi spazi di economia grigia.
L’economia da “guerra permanente” ha prodotto posizioni di privilegio e di corruzione in ampi strati dello Stato, del parastato e delle oligarchie economiche di riferimento.
Il no al “fin del conflicto” ha avuto uno strisciante, ma dominante sentimento antieuropeo; il timore che il processo di modernizzazione della società colombiana chiudesse spazi ai solidi patriarcati economici e sociali, ai circuiti grigi del riciclaggio e della corruzione, attraverso l’adesione a standard commerciali e di trasparenza.
I soggetti più inquieti sono stati: l’esercito che con il “Plan Colombia” ha assunto posizioni di contiguità con le nomenclature locali con gli enormi finanziamenti che diventavano a rischio; la Chiesa Evangelica pilastro del sistema educatico e formatico, quindi dei consumi made USA, ha seminato una campagna di panico omofoba sulla corruzione dei costumi, della famiglia naturale, profetizzando una deriva “venezuelana” nella limitazione della proprietà privata.
Nonostante una società civile più strutturata, una nuova borghesia, centri culturali e universitari di eccellenza come l’Externado, la Los Andes e la Naciònal, la Colombia rimane un arcipelago di contraddizioni che si sono riflessi nella mappa del voto.
L’astensione, storicamente alta, risponde ad un sistema costruito su una conventio ad escludendumdi ampi strati di popolazione marginalizzata, facilmente condizionabile con la leva della clientela o della forza; il voto di opinione è ancora minoritario.
Meccanismi attivati in molte zone rurali che in percentuale hanno votato più che nei centri urbani.
Nelle zone più colpite dal conflitto c’è stata una netta maggioranza per il Sì, così come a Bogotà, Cali e Barranquilla, gli altri maggiori centri urbani, Medellin, Bucaramanga, Cucuta, Pereira hanno votato decisamente NO.
Medellin e tutta l’Antioquia – la regione di Uribe con fortissimi interessi con il latifondo – ha votato massivamente per il No (75%), mentre tutta la zona costiera caraibica, dove era considerato maggioritario il Si, ha registrato un’affluenza scarsissima per la coincidenza dell’uragano Matthews che ha costretto molta gente a casa nell’impossibilità di uscire.
Ci sono stati centri come Toribìo nel Cauca e Bojayá dove il conflitto a raggiunto una violenza disumana in cui la percentuale per il Si è stata del 95%, altre zone, totalmente estranee al conflitto, che hanno aprioristicamente considerato inaccettabili le condizioni dell’accordo.
Il dramma feroce di questo voto sta in questa contraddizione: il sentimento di perdono delle vittime e il rancore di chi è stato solo spettatore.
Più di mezzo secolo (52 anni) di conflitto armato; un conflitto viscerale che nasce con il “Botogazo” (la morte di Bogotà), quando la Capitale vide morire le sue speranza di riscatto con l’assassinio di Jorge Eliécer Gaitán il 9 aprile 1948, candidato indipendente per il Partito Liberale per le elezioni del 1950 e inizio del periodo conosciuto come “La Violencia”.
Le repressioni successive trovarono nel paese la resistenza di gruppi di contadini e militanti uniti attorno ad esperienze di autodifesa fino all’organizzazione delle Farc nel 1964 con l’appoggio dei paesi del blocco socialista e di Cuba.
Un conflitto che negli anni ha assunto le forme brutali in una guerra sanguinaria senza scampo per le popolazioni inerti, dilaniate dal terrore, dalla crudeltà delle formazioni paramilitari e dalle ritorsioni di entrambe le parti.
Le cifre sono drammatiche: si contano oltre 260.000 vittime, 16.000 sequestrati, 11.500 minori reclutati e decine di migliaia di esiliati e rifugiati all’estero.
La crudezza delle cifre si è, nel coso degli anni, confusa – senza alcuna compassione – con gli ingenti profitti del narcotraffico e dell’economia di guerra, saldando il paese in una gigantesca fortezza geo-economica.
Il processo di pace deve essere contestualizzato, necessariamente, nell’area geopolitica di riferimento con i suoi legami storici e gli interessi sottesi.
Elemento di assoluta novità di questo nuovo processo di riconciliazione è l’alto profilo internazionale e di modernizzazione che ha ricollocato il Paese su dinamiche di nuove opportunità e di responsabilità.
L’Europa e la comunità internazionale hanno, al di là della trucida campagna referendaria, posto un cuneo, ancorato la Colombia che dopo lo shock della prima ora, ha dovuto mostrare in tutte le sue anime un atteggiamento maturo e rassicurate: seguimos en este camino, senza mettere in discussione il “cessate il fuoco”.
Il Nobel alla pace attribuito al presidente Juan Manuel Santos dall’Accademia di Oslo il 7 ottobre (la Norvegia è stato uno dei due Stati garanti del negoziato di pace) è un ulteriore e importante sostegno ad un uomo politico che, pur commettendo errori, ha avuto il coraggio e la determinazione di immaginare per il suo popolo una nuova dimensione storica ed internazionale.
“Santos del Inferno al Paraiso” titolava La Seimana sulla sua pagina online immediatamente dopo la notizia del Nobel per la pace; premio alla costanza ed alla responsabilità come l’immediata volontà di voler devolvere il premio in favore delle vittime del conflitto.
Ci sono tutte le condizioni per un nuovo corso; condizioni, energie, speranze, garanzie e soprattutto una società non più blindata ma recettiva e pervasa da sentimenti di ricostruzione e integrazione.
La strada per passare “del Inferno al Paraiso” è sempre stretta e coraggiosa ma adesso gli argini sono più solidi e coesi.
Del resto siamo sempre nel paese di Macondo.
Carmine De Vito
Trackbacks and pingbacks
No trackback or pingback available for this article.
Per qualsiasi domanda, compila il form
[contact_form name="contact-form"]
Leave a reply