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L’identità nazionale, e quindi il perimetro dell’interesse di una Nazione come l’Italia, sono disegnati dal a) progetto di formazione della sua unità, b) dalla valutazione dei suoi fini stabili e del nesso tra questi e le finalità transeunti. Le classi dirigenti che confondono la giornata con la Storia sono destinate alle fine, come peraltro accade con i singoli soggetti. I fini stabili sono quelli che riguardano la realizzazione del progetto, del paradigma nazionale. Nel caso dell’Italia, la sua proiezione nel Mediterraneo e la sua leadership nell’Europa meridionale.
La “Ragion di Stato” e quindi anche l’interesse nazionale, nascono come concetti politici nel nostro Rinascimento. La Ragion di Stato è lo strumento per raggiungere il vero interesse nazionale, quest’ultimo definisce la legittimità della Ragion di Stato. In Guicciardini, nel “Reggimento di Firenze”, ragion di Stato è una razionalità “poco cristiana” la quale, laddove non si può usare la “pietà e la bontà”, consente di utilizzare la “crudeltà e la “poca conscientia”. Insomma, la Ragion di Stato e l’interesse nazionale sono il “valore” del Principe machiavelliano, senza la “Fortuna”, che viene evitata, nei suoi effetti deteriori, dalla stessa macchina di potere dello Stato. Che è macchina da guerra in tempo di pace. Nel frontespizio della prima edizione del Leviatano di Hobbes, il Sovrano è formato da tanti piccoli uomini. E’ proprio questa l’immagine più pregnante della Ragion di Stato.
Per Giovanni Botero, la raison d’état è la tecnica di mantenimento dello Stato come “conservatore delle cose realizzate” e, soprattutto, del dominio “fermo” di questo “sopra i popoli”. Senza Ragione di Stato, quindi, nessuna permanenza delle istituzioni, costrette alla “Fortuna” variabile del singolo e privato Principe.
Se ci si ricorda qui del Macbeth di Shakespeare, la rapida presa del potere da parte dell’eroe eponimo nasce dalla magia nera delle Tre Streghe, che lo evocano come Re fino a quando, lo dice l’incantesimo maligno, arriverà “la foresta che cammina”. Macbeth è insieme un “principe novo”, per dirla con Machiavelli, che un monarca statuale, con l’apparenza, ma non la sostanza, del suddetto “dominio fermo sopra lo Stato”. E’ la Ragion di Stato che genera la legittimità, ma è quest’ultima che stabilizza lo Stato.
Come ha dimostrato Carl Schmitt, ogni potere nasce da un maleficio nascosto, e Shakespeare mostra letterariamente quello che dimostra anche Hobbes, ovvero che il Monarca diviene legittimo quando garantisce “vita, libertà e proprietà” ai sudditi, ma si fa sempre strada attraverso il classico bellum omnium contra omnes. Il maleficio da far dimenticare.
Nell’Ottocento l’interesse nazionale italiano sorge come consenso britannico a una limitata presenza mediterranea della Penisola, ad una espulsione delle mire russe, bloccate dal residuo impero ottomano, ad una resezione infine della presenza francese al solo sistema maghrebino.
La storia si ripete: gli alleati arriveranno sulle spiagge siciliane, tra Licata e Siracusa, il 9-10 luglio 1943 con 160.000 soldati, 4000 aerei da combattimento, 285 navi da guerra, due portaerei e 2.775 navi da trasporto. L’intelligence, contrariamente a quanto solitamente si crede, sarà fornita dai britannici, che ben conoscono l’isola data la loro antichissima presenza economica. Se l’Italia mussoliniana avesse conquistato Malta fin dall’inizio, ciò non sarebbe accaduto. L’intelligence tattica americana sarà certo fornita dai mafiosi residenti negli States, ma si tratta soprattutto di poteri locali. Come la lucertola è il riassunto del coccodrillo, la Sicilia è l’antefatto dell’Italia.
Gli USA non hanno ancora elaborato, in quel momento, la dottrina della “guerra fredda”, mentre gli inglesi stanno perfino provando, con il consenso di Washington, la “operazione Unthinkable” che prevede l’accesso contro l’URSS dai Balcani, che fu la prima idea alternativa di Churchill contro l’”operazione Overlord” dalla Bretagna, operazione che inizia il 6 giugno 1944. Se vince Overlord, la Francia sarà autonoma preda degli Alleati, se vince prima Husky, sarà l’Italia a creare un Nuovo Ordine Europeo sul limitare della prossima linea di Operation Unthinkable, che doveva iniziare il 1 Luglio 1945 con 47 divisioni angloamericane, le quali dovevano smantellare il sistema sovietico già distrutto dall’immane sforzo bellico.
L’operazione Unthinkable di Churchill ripeteva gli obiettivi del piano Barbarossa di Hitler: l’attacco alle principali città russe. Ma, nel frattempo Stalin aveva preso Berlino. L’equilibrio del terrore, prima dell’arma atomica, nasce da qui. L’Armata Rossa non è fermata sulla Linea Sigfrido in Francia e sulla Linea Gotica in Italia, come le forze angloamericane; e si prende gran parte della Germania, il centro di quella che Raymond Aron chiamava “la grande pianura europea”.
Le differenti formazioni della Resistenza italiana sono circa 40, per un totale, al Novembre 1943, di 3800 uomini, di cui 1650 nel solo Piemonte. Come disse Renzo De Felice nel suo ultimo libro-intervista, la guerra partigiana fu soprattutto “una guerra di servizi segreti”, spesso l’uno contro l’altro, anche nel campo degli Alleati.
La domanda principale degli USA e degli Inglesi, che delimiterà il nostro interesse nazionale successivo, è “cosa farne dell’Italia”? Per Londra, che opera sul piano informativo anche con le Brigate Garibaldi gestite dai comunisti, l’Italia dovrà essere a garanzia di un Mediterraneo che permetta la proiezione di potenza globale inglese. La decolonizzazione è di là da venire. Per gli americani, invece, Roma sarà un fattore di equilibrio tra la Francia, di cui si teme l’egemonia europea, e la Germania, che dovrà essere solo l’antemurale contro l’URSS. E non permettersi il lusso di fare politica estera.
La “guerra fredda” non nasce in Europa, è bene ricordarlo, ma al confine tra la Persia e l’URSS, dove Stalin dimostra di non tener fede ai patti di Yalta annettendosi una parte dell’Armenia.
Con la cold war, cambia tutto, per l’Italia. Dopo quella che un agente dell’OSS, Eric Morris, ha chiamato “la guerra inutile”, ovvero la campagna d’Italia degli Alleati, l’Italia diviene “utile” come antemurale diretto del Patto di Varsavia, che sarà siglato nel 1955.
Un progetto continentale e “terrestre” rispetto al nostro interesse nazionale, che è mediterraneo, una programmazione che vede l’Italia durare poco prima del dilagare dell’Armata Rossa nel Nord, Armata che sarà fermata oltre i nostri confini. Un meccanismo che prevede l’Italia come marca di confine e di trattativa occulta tra i due blocchi, un sistema che permetterà, solo fine di una classe politica con scarse conoscenze strategiche, le trattative continue con l’opposizione e il consociativismo.
Il ministro Prunas incontra segretamente Vishinsky, capo della delegazione sovietica, a Napoli e a Salerno, nel gennaio 1944. La “svolta di Salerno” nasce qui. Il governo di Badoglio vuole aprire uno spiraglio con Stalin per evitare di avere le mani legate dalla Commissione angloamericana, il vero governo in Italia. Stalin costringe Togliatti ad accettare un posto nel governo del Re, mentre il leader comunista italiano non voleva la “svolta” e pensava di approfittare, con una lotta di massa che proseguiva la Resistenza, della insita debolezza del governo badogliano. Stalin voleva l’Italia nel campo occidentale, per usarla come “anello debole” della futura NATO.
Saranno, dopo la Repubblica e i primi anni della Ricostruzione, gli anni in cui l’Italia diverrà, come diceva l’Amb. Gaja, “una media potenza”. A condizione di accettare la strategia “terrestre” dell’Alleanza Atlantica e di mantenere uno spiraglio di autonomia rispetto all’URSS e al Patto di Varsavia, strategia nazionale che permette di silenziare il PCI.
Ma, oggi, quanti sono i capitali stranieri investiti in Italia? Vediamo di farne un breve inventario. In Unicredit la quota araba è del 9,17%, divisa tra il fondo Abaar degli Emirati, la Libyan Foreign Bank e la LIA, Lybian Investment Authority. Che, peraltro, è oggetto di guerra tra il governo di Tripoli e quello di Tobruk. La Banca UBAE è araba al 76%, tra Libyan Foreign Bank, Banca di Casablanca e Banque Marocaine du Cemmerce Exterièur. La Banca ABC è a maggioranza del Libyan Investment Authority e, per il resto, del Kuwait. Non si conosce bene, poi, la quota sociale in BPM della LIA. Lo stesso vale per Intesa Sanpaolo.
Attraverso la casa madre inglese, poi, la Borsa di Milano è controllata dalla Borsa di Dubai, con il 17,4% e dalla Qatar Investment Authority per il 10,3%. La Q8, lo dice la arola stessa, è controllata al 100% dal Kuwait, e si tratta del secondo maggior operatore petrolifero italiano. Tamoil è controllata integralmente dai libici, 70% della NOC e 30% del governo libico, non sappiamo bene quale.
L’ENI è all’1,9% della Libyan Investment Authority, mentre in ENEL il fondo sovrano libico arriva quasi al 2%. Chi ha causato la caduta di Gheddafi voleva, in effetti, provocare la crisi del sistema infrastrutturale italiano. Poi, il Kuwait ha il 2% di Poste Italiane, Alitalia è per il 49% della Etihad di Abu Dhabi, La Meridiana è anch’essa al 49% di proprietà a Qatar Airways. Poi, la RETELIT, azienda di infrastrutture e dati per le telecomunicazioni, è al 14,8% di Bousval, una società similare libica. Piaggio Aerospace è al 100% di Mubadala, un fondo sovrano di Abu Dhabi, mentre Leonardo-Finmeccanica è per il 2,1% di proprietà della solita LIA libica.
Il Fondo Strategico Italiano ha costituito una joint venture con Qatar Holding e il Fondo Sovrano del Kuwait. Il FSI ha comunque sottoscritto accordi con il russo RDIF, la China Investment Corporation e la Corea.
Per non parlre dei grandi marchi della moda italiana (Corneliani, Valentino, Ferrè, Pal Zileri) ormai di proprietà di vari fondi arabi e dei grandi alberghi (Gallia, Grand Hotel di Via Veneto) ormai nelle mani di investitori arabi.
Gli investimenti arabi in Italia, se da un lato stabilizzano i conti e permettono l’innovazione, dall’altro influenzano il decision making del governo italiano in Medio Oriente. Inoltre, possiamo immaginare da dove verranno i finanziamenti alle nuove forze politiche che, aumentando l’immigrazione, si caratterizzeranno come “islamiche”.
Il 36,5% del debito pubblico è in mani straniere, e lo shopping di imprese italiane, spesso favorito dai governi di origine, è arrivato a 2,8 miliardi di euro. Non solo arabi, quindi: quasi tutto l’alimentare di largo consumo è di proprietà Unilever, anglo-olandese, Lactalis, francese, Nestlè, svizzera.
Non voglio qui fare il nazionalista economico, la globalizzazione, anche in questi casi, ha portato a risultati tutt’altro che negativi, basti pensare che, secondo Prometeia, le aziende acquistate da capitale (e con il management) estero hanno aumentato del 2,8% il fatturato e del 2% l’occupazione, e con un leggero (1,4%) aumento della produttività. Ma la domanda che dobbiamo porci è un’altra: come fa un governo nazionale a elaborare un qualche progetto di “interesse nazionale” quando gran parte della sua economia è in mani altrui? E quali sono i meccanismi di pressione, le lobbies, i rapporti che influenzano i parlamentari a favore delle imprese straniere, oggi?
Delle 57 lobbies ufficiali e semiufficiali che lavorano a contatto con il decision making parlamentare italiano, almeno 32 lavorano anche per capitali stranieri. Non è censibile, naturalmente, il sistema informale della comunicazione tra i portatori di interessi dei capitali stranieri e il sistema parlamentare.
Insomma, come è possibile che un Paese con almeno un 35% del sistema economico che non dipende dalle sue autonome scelte, abbia una politica estera e, soprattutto, un interesse nazionale specifico?
Marco Giaconi
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03Oct
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