18
Feb
«Lavoro produttivo e potere finanziario», un tema affascinante in quanto l‘attuale crisi economica ha rivelato lo smarrimento dell’umano di fronte alla monocultura dell’economia. Gli interventi, come il Quantitative Easing, per riattivare l’economia non sono ancora riusciti a sciogliere i nodi del ristagno economico. A suo parere quanto il QE 2 annunciato da Draghi può essere realmente d’aiuto al sistema produttivo italiano, un tessuto formato quasi interamente dalle piccole e medie imprese?
La realtà nella quale viviamo oggi vede ancora la maggior parte delle banche vivere un momento critico che le porta a tenere i soldi, pur perdendoci, piuttosto che prestarli alle imprese private. Il QE è innanzitutto uno strumento importante che deve servire da leva per riattivare un clima di fiducia, dato che quasi tutti i sistemi relazionali e di sviluppo degli investimenti di crescita dei Paesi ormai sono basati su una economia che è fatta prevalentemente di conoscenza e di reputazione, dato che il prodotto ha perso la centralità nel processo capitalistico. Le mosse del Presidente Draghi, al di là del risultato concreto che riescono a raggiungere, sono quindi un tentativo per innescare un trend positivo.
Il meccanismo di ripresa è bloccato e Draghi vuole metaforicamente spingere le banche con il forcone pur di convincerle a dare i soldi. Possiamo infatti notare che il tasso overnight (il tasso di interesse del deposito bancario che va estinto il primo giorno lavorativo successivo a quello in cui è stato costituito e ha quindi la durata di una sola notte) che ora sta a 0,17, verrà portato a 0,3; questo vuol dire che le banche, pur di tenere i soldi in BCE arriveranno a perdere 30 centesimi ogni notte invece degli attuali 17, che sono un’enormità sulle grandi quantità. La situazione attuale però vede tutta una serie di imprenditori a “fedina penale bianca” che sono costantemente sul bordo di un precipizio, e per le banche prestare i soldi a loro comporta decisamente un rischio maggiore rispetto a quegli imprenditori che hanno sì una “fedina penale sporca” ma sono ormai risanati.
Il secondo grande tema è che il nostro Paese deve prendere coscienza del fatto che noi siamo la terza ricchezza privata del sistema globo a livello di singoli cittadini, avendo 8400 miliardi di euro di asset detenuti in forma liquida (2200 euro) o in forma immobiliare (6200 euro). Il problema è che, essendo l’80% delle case di proprietà, viviamo in un Paese ricchissimo ma illiquido. Questo complica notevolmente un’eventuale ripresa, nonostante un aumento nei risparmi. Di conseguenza, pur essendo uno sprone, il QE 2 non sufficiente se le banche non intervengono finanziarizzando gli immobili.
Siamo purtroppo rinchiusi in un corto circuito dal quale non riusciamo a svincolarci, complice un orizzonte di strategia a brevissima scadenza. Gli investimenti richiedono invece una progettualità a lungo periodo, difficilissimo in un meccanismo, come quello odierno, di accelerato cambiamento. La soluzione ottimale è perciò la ProXit, progettare avendo una visione dilazionata nel tempo, approssimando però la tattica nel breve periodo in base alla velocità del mercato. L’approssimazione a breve periodo è sempre perdente, la progettazione sul lungo periodo è sempre complessa, vincente è l’incontro tra settore produttivo e assetto finanziario.
In Italia la domanda interna asfittica è un problema che attanaglia le PMI. Quanto le PMI possono sopravvivere in un mondo polarizzato costituito da grandi gruppi che comandano? e quanto la finanza può fungere da collettore per far crescere le PMI?
Questo è un mondo che globalmente si polarizza, viviamo cioè in un sistema a rete in cui ci sono settori che diventano immensamente grandi e che costituiscono l’hardware del sistema stesso (banche, infrastrutture, sistemi farmaceutici, automobilistici, aeroportuali). La realtà italiana invece è esattamente l’opposto, non esiste più l’immensamente grande, essendo rimasto un tessuto di PMI che tuttavia ha in potenza delle caratteristiche adatte per il futuro, si pensi ad esempio alla Val Trompia nel bresciano. Purtroppo, mi dispiace dirlo, la nostra PMI è mediamente impreparata, non ha cioè sviluppato ed acquisito le competenze necessarie, votate proprio a questo sistema a rete. Ha in altre parole una grande competenza commerciale e tecnico-artigianale ma esporta “per caso”, perché qualcuno domanda il prodotto e non perché vocata.
La nostra PMI necessita assolutamente di “conoscenze manageriali” per gestire la rete e trasformarla da strumento a strategia. Un’equazione semplice: non si può avere la rete come strategia se non la si ha sotto forma di competenze da disseminare, anche sprecandole, nel sistema dalle PMI, perché pensare a rete non è pensare al mercato di sbocco o alle infrastrutture necessarie.
Altro punto fondamentale è che la finanzia deve intervenire con un meccanismo di finanziamento coerente per processi di start up. È però doveroso dire che, a parità di dimensioni delle PMI, gli italiani hanno il 17% di capitali propri mentre gli Americani hanno il 75 %, con una media europea che oscilla tra il 39% e il 49%. Questo significa che in Italia l’impresa è a prestito, a finanziamento.
Secondo lei la mancanza di un’adeguata educazione finanziaria aumenta la diffidenza verso la finanza?
In un sistema che produce ci deve essere un set di competenze che costituisca la base della figura professionale dell’imprenditore, una figura particolare che deve possedere competenze multiple: commerciale, tecnica di produzione, marketing, finanza. Inoltre questa strategia di rete deve sposare il sistema finanziario studiandolo perché la finanza è una competenza. Possibile che non riusciamo ad imparare come gestire i nostri soldi? C’è un’asimmetria informativa enorme e richiede una compensazione attraverso una educazione finanziaria imprescindibile.
Il sistema rete contiene al suo interno la spinta verso l’intangibile, costi al minimo e idee al massimo, grazie all’intelligenza al servizio del mercato, attraverso singoli capitalisti intellettuali o micro-aziende che utilizzano le stampanti 3D. Inoltre, appena arriveranno sul mercato i nativi digitali, quelli nati dal 2000, le transazioni finanziarie avverranno quasi esclusivamente attraverso la rete. Già adesso il 70% del trading avviene attraverso gli algoritmi, e queste operazioni finanziarie le fanno i computer in automatico senza l’intervento dell’uomo. Lo Stato dovrebbe introdurre l’ora di educazione finanziaria (e reintrodurre quella civica), indispensabile non solo per sviluppare le competenze ma anche per ridurre l’inutile sfiducia verso il mondo finanziario, dato che la finanza non è solo “cattiva”.
Come è possibile un investimento sul capitale umano attraverso il sistema scolastico? È possibile cioè fare in modo che la velocità di evoluzione delle tecnologie e del mercato avvenga di pari passo con l’acquisizione delle competenze?
Come ho scritto nel mio libro «Rivoluzione Perfetta», noi siamo in una nuova fase di “umanesimo digitale”, e in una logica di “capitalismo intellettuale” andrebbe fatto un «people’s act» per rimettere l’uomo al centro, dato che il prodotto può scomparire, l’azienda anche ma la persona rimane. La rete ha nel suo DNA la complessità e per saperla gestire si deve studiare di più, come competenze.
Si sta sviluppando una nuova coscienza collettiva nella quale il vantaggio collettivo è più importante del singolo. Lo spettro di questa coscienza collettiva si aggira silente senza che nessuno si renda veramente conto della sua portata. Questa simultanea iper-connessione della mente in rete, questo vivere qualunque cosa a due velocità, contemporaneamente reali e digitali, è l’enorme novità del mondo contemporaneo. Siamo in un momento di transizione che prelude ad un salto evolutivo in cui sarà imprescindibile ripensare l’umano sulla scia di una nuova ipotesi di coesione sociale e di una nuova consapevolezza di noi stessi e della nostra centralità nel mondo. In questo modo il capitalismo intellettuale metterà nuovamente al centro del mondo economico il capitale umano.
Angelo Deiana, Presidente di CONFASSOCIAZIONI (Confederazione Associazioni Professionali) e di ANPIB (Associazione Nazionale Private & Investment Bankers), Presidente onorario di ATEMA (Associazione per il Temporary Management), AD di Messaggerie Internazionali e uno dei maggiori esperti di economia della conoscenza e dei servizi professionali in Italia.
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03Oct
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